Amare uno sport, tifare per una squadra o per un atleta, è una sensazione che non ha logica: è qualcosa che c’è e non puoi spiegare – perché anche le parole hanno un limite – ma forte abbastanza da cambiare il mondo e le abitudini di una persona. E l’amore che move il sole e l’altre stelle – non ce ne voglia il sommo poeta – muove anche ben più piccole sfere su campi che, sebbene non siano grandi come galassie, contengono in certi momenti una moltitudine universale di sentimenti umani. Proprio grazie a questo amore, quindi, lo sport sopravvive e le aziende sportive riescono a sfiorare e a raggiungere il mito. Com’è ben noto, fino a qualche tempo fa si trattava di un flusso a senso unico: erano i fan a seguire e conoscere i team.
Non viceversa.
Oggi lo scenario cambia: i nuovi mezzi di comunicazione e le nuove tecnologie abilitano un sentimento ricambiato, costruito pezzo su pezzo – o, per meglio dire, dato su dato – , fatto di un coinvolgimento che diventa sempre più profondo e capillare.
Data Driven Fan Engagement: non semplici informazioni ma ancore emozionali
Se mi chiedessero personalmente perché tengo alla mia squadra del cuore, potrei rispondere in molti modi: è la squadra che mio padre ha amato prima di me, è quella che rappresenta la mia identità, la mia cultura. Qui hanno giocato alcuni dei calciatori che più ho amato, è nello stadio di casa che, da ragazzino, ho assistito alla mia prima partita. E sono sicuro che se, idealmente, facessimo questa stessa domanda a tanti altri tifosi, le risposte sarebbero simili, perché il tifo ha caratteri universali.
Amore. Appartenenza. Memoria.
La difficile conquista del cuore e della mente di un fan sta nella comprensione di questa triplice alchimia e, di conseguenza, delle molteplici motivazioni che lo spingono a essere tifoso di una determinata squadra. Si tratta di quella della loro città o è quella più vicina a loro geograficamente? È la squadra per cui tifano i genitori o l’intera famiglia? È quella la cui storia o le cui vittorie meglio si sposano con i suoi miti personali? Capire queste sfumature e come si intrecciano è fondamentale per i club.
Il premio?
L’accesso alle motivazioni individuali dei supporter, la possibilità di trasformarle in ancore emozionali per creare connessioni profonde con loro. Quando un fan sente che tra lui e la squadra c’è una connessione significativa, e sa che questa connessione si estende ad altri tifosi come lui, ad una community fondata su passione e valori condivisi, sente più fortemente di essere parte di qualcosa di grande, di più grande, e la sua lealtà verso quei colori aumenta: i fan più consapevoli saranno i sostenitori più forti. E i clienti migliori. La chiave d’accesso? I dati.
Data Driven Fan Engagement: segmentazione dell’audience e monetizzazione one-to-one
Le aziende devono imparare a conoscere lo stile di vita dei loro fan, le abitudini di consumo, gli interessi, le passioni – anche al di là dello sport – a un livello che potremmo definire intimo, familiare. Si può anche sostenere che, mentre i fan vivono l’esperienza del brand, il brand fa – costruisce – la sua esperienza, diventandone un esperto conoscitore, consapevole del fatto che ha bisogno delle giuste informazioni – dei dati, interpretandoli – per comprenderne il comportamento e gestirlo con una strategia appropriata. Nell’era digitale, ci sono molti modi – per le aziende, per gli sponsor – di studiare i dati su larga scala. La sfida più grande diventa, ora, quella di unificare in un unico grande archivio tutte le informazioni acquisite attraverso differenti touchpoint. Ecco perché nasce l’esigenza di uno strumento unico, di una piattaforma che ne evolva e semplifichi la gestione. A questo punto della sua evoluzione, infatti, il data driven fan engagement ha fatto un ulteriore passo avanti verso una segmentazione dell’audience.
Una relazione one-to-one tra tifoso e team.
Questo obiettivo nasce, è evidente, dalla consapevolezza che non esista una tipologia singola di tifoso, né che si possa pensare di dividere semplicemente la fanbase tra fan fedeli e fan occasionali. Grazie ai dati – alla possibilità di combinare, incrociare e analizzare le informazioni raccolte – i team possono ora frammentare il pubblico in una miriade di segmenti caratterizzanti, in virtù di quelle informazioni – preferenze, provenienza, ticketing, acquisti online, interazioni in app – che, variamente combinate, rendono unico ogni supporter.
Non tutti i supporter fanno il tifo allo stesso modo, insomma.
C’è chi va allo stadio ogni domenica, chi lo fa tre o quattro volte all’anno o, magari, in occasione dei match più importanti. C’è chi invece non ci va mai, forse perché abita troppo lontano o in un’altra città, c’è chi conosce la storia della squadra a memoria e chi la segue da poco: eppure, per un’azienda sportiva, ognuno di loro ha un valore ormai imprescindibile. Ogni singolo fan, infatti, è prezioso e come tale va trattato e coccolato: quello che si abbona tutti gli anni rappresenta una risorsa tanto grande, inutile sottolinearlo, come chi non può assistere alle partite nell’impianto, ma che spende in merchandising o semplicemente ‘consuma’ in contenuti, visto che i contenuti generano coinvolgimento e il coinvolgimento si traduce in numeri.
Numeri da capitalizzare.
Ignorare una parte di quei fan – un determinato segmento – equivarrebbe, di conseguenza, a ignorare una risorsa monetizzabile in funzione di un’offerta rilevante e pertinente rispetto ai propri bisogni. Da elaborare grazie ai dati.
Data Driven Fan Engagement: le strategie dell’AZ Alkmaar
Un esempio di come si possano utilizzare i dati per costruire il coinvolgimento dei propri fan è quello rappresentato dall’AZ Alkmaar. Con due titoli e quattro coppe nazionali in bacheca, il team della Premier League olandese, la quarta forza in campo contro Feyenoord, Ajax e PSV, ha ospitato tra le sue fila calciatori come Sergio Romero, Ron Vlaar, Jozy Altidore, Moussa Dembele e Vincent Janssen, così come allenatori del calibro di Louis van Gaal, Dick Advocaat e Marco Van Basten.
L’AZ ha subito, come club, più di uno stop a causa della crisi economica degli anni passati. Tuttavia, con sorprendente rapidità, si è non solo risollevato, cancellando il rosso dai bilanci, ma è anche diventato una delle aziende di calcio più innovative d’Olanda: può ora vantare una famosa Accademia – meta di pellegrinaggio da parte di famose società calcistiche europee, compreso il Real Madrid – e una serie di giovani talenti sfornati grazie a un nuovo approccio prestazionale creato a partire da un metodo innovativo basato proprio sui dati. Ma quello che più ci interessa sapere, in questo contesto, è che nel 2017, il club, ha intrapreso anche una nuova strategia di marketing. Una strategia fortemente orientata dai dati, che si concentra su tre aspetti del fan engagement: la comunicazione tra club e fan, il coinvolgimento del tifoso e l’esperienza allo stadio.
Quella che l’AZ sta attualmente attraversando è una fase di transizione che vede l’azienda abbandonare il marketing tradizionale per un approccio data-driven: la strada è ancora lunga, ma alla luce degli ottimi risultati ottenuti – i ricavi dello stadio raddoppiati e un attivo attuale di 60,4 milioni di euro, contro i 39 milioni dell’anno precedente – vale la pena esaminare da vicino il loro progetto. Parte fondamentale della strategia è la struttura a piramide che tanto sta facendo parlare di sé e che – secondo l’ideatore Bas Schnater – divide i fan in tre settori ideali: il primo, in cui vengono racchiusi tutti gli abbonati, il secondo, che include i tifosi che vanno allo stadio almeno per due partite all’anno e, infine, il terzo, dove vengono collocati i tifosi occasionali.
Questo tipo di struttura si rende necessaria per due motivi principali: da un lato – come si diceva – la necessità di segmentare il pubblico per una migliore offerta, dall’altro, l’urgenza di eliminare tutto ciò che era irrilevante nelle comunicazioni con i fan e ottimizzarle ad personam.
Ad esempio, agli abbonati non vengono più inviati messaggi relativi alla vendita dei biglietti, ma ricevono input più pertinenti al loro stato di fan già fidelizzati come, ad esempio, mail con sconti sul merchandising o addirittura messaggi e video personalizzati da parte de giocatori. Di contro, ai fan della terza fascia viene destinato materiale di tutt’altro genere: sconti sui biglietti, promemoria sugli incontri e – in base a follow-up sul comportamento al ticketing e ai programmi di re-engagement automatizzati – un tifoso che non è andato allo stadio in sei mesi – quando i suoi dati storici mostrano che di solito va a una partita ogni due – potrebbe essere contattato con una comunicazione automatica da parte del club in cui gli viene offerta assistenza per eventuali problemi.
Anche il sistema di sondaggi relativi al giocatore o all’azione preferita, chiamato WOW-moment, contribuisce alla costruzione dell’engagement attraverso i dati: i sondaggi, infatti, danno vita a una campagna personalizzata in cui i tifosi vengono premiati per la loro fedeltà con il video dell’azione votata – vista da diverse prospettive e angolazioni – o con un saluto da parte della squadra. Allo stesso modo, il club ha scelto di essere vicino ai tifosi durante una trasferta in Spagna nella scorsa stagione: ogni fan ha ricevuto una cartolina digitale della squadra con l’autografo del proprio giocatore preferito. Nelle mail inviate ai non abbonati c’era anche una call to action che portava alla pagina web della campagna di abbonamento a metà stagione. Una strategia tutta in divenire, quella dell’AZ Alkmaar, ma che si muove costruendo l’engagement dei fan su una solida struttura. Costruita sui dati.
Data Driven Fan Engagement: il coinvolgimento ai nastri di partenza della Formula E
Abbiamo parlato di tifo come appartenenza e memoria. Ma nell’era del virtuale, della tecnologia, dell’iperconnessione è doveroso parlare del tifo che nasce da nuove realtà sportive che fanno sentire per la prima volta la loro voce. Per molti di questi sport non esiste ancora una tradizione a cui fare appello: i fan hanno bisogno che i team costruiscano per loro un’esperienza e, ancora una volta, i dati sono la chiave di tutto.
Come, ad esempio, la Formula E.
La serie automobilistica per auto elettriche è un fenomeno relativamente nuovo, che sta trovando un largo consenso tra il pubblico giovane che non è, come ci si potrebbe aspettare, quello tradizionalmente legato alle corse automobilistiche: molti di essi, infatti, non sono appassionati di motorsport, ma di tecnologia. Anche in questo caso, elevati livelli di coinvolgimento vengono raggiunti attraverso l’interattività e l’uso dei dati: i fan, infatti, possono giocare un ruolo attivo nelle gare e addirittura influenzare il risultato finale attraverso la funzione Fanboost, che offre l’opportunità di dare un bonus di 5 secondi di velocità in più al pilota preferito, votandolo su Facebook – con like e commenti – per i dodici giorni che precedono la gara.
Dare al pubblico la possibilità di interagire, e la sensazione di poter stabilire da sé, almeno in parte, le regole del gioco, sta permettendo, ai team e agli sponsor della Formula E, di formare e veder crescere una solida fanbase e di accumulare dati preziosi. Da più di un anno, per questo, l’organizzazione si è impegnata per una migliore comprensione del suo pubblico attraverso i dati e i risultati, numeri alla mano, non tardano ad arrivare con record di incassi e di spettatori.
Una delle principali dimostrazioni del valore di questa strategia ci arriva da vicino, per la precisione da Roma, con l’E-Prix, tenutosi lo scorso aprile all’Eur. Un terreno di prova decisivo, quello del nostro paese – terra di famosi motori e patria di un pubblico di grande competenza motoristica – che ha sancito il successo delle auto green e silenziose con uno share del 9.09% pari a 1.118.000 spettatori, 30mila tifosi sugli spalti del circuito costruito ad hoc e con l’hashtag #formulaeday che si è confermato trend topic per tutta la giornata di gara. Un evento social e sociale, a cui hanno partecipato diverse personalità della politica e dello sport – dalla sindaca Raggi al presidente del parlamento europeo Tajani, dal presidente del CONI Giovanni Malagò, fino al presidente della Roma Pallotta, insieme al Dg Baldissoni e ad altri calciatori della squadra giallorossa – che nei prossimi tre anni, in cui verrà ripetuto, rappresenterà per la capitale un indotto di circa 60 milioni di euro.
Strategie sempre più fan-driven, quindi, è un dato di fatto.
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