Abbiamo tutti sotto gli occhi l’evidenza: in assenza di sport giocato gli eSports sono la via che permette alle realtà sportive di esplorare nuove opportunità. Parliamo di un mondo, comunemente definito dei “videogiochi”, che nel 2020 potrebbe raggiungere un giro d’affari di 1,5 miliardi e che ha già giustificato la nascita addirittura di un Osservatorio Italiano Esports (Oies) dedicato appunto allo sviluppo e alla conoscenza del fenomeno a cavallo tra sport, tecnologia e gioco. Ma quando è iniziato il tutto? Da cosa ha avuto luogo questa lunga e relativamente lenta rivoluzione?
“I wrote this back in 1989 while I was designing Monkey Island. It is now the futuristic year of 2004 and we are all driving around in flying cars and wearing sliver jumps suits. A lot has changed for Adventure Games as well, but unfortunately not in the right direction. Adventure Games are officially dead.”
(Ron Gilbert, papà di Monkey Island e ideatore dello SCUMM motore grafico sviluppato per LucasArts)
La storia ha inizio proprio nel 1990 con il pirata Guybrush Ulysses Threepwood il protagonista della saga ideata da Ron Gilbert che di fatto ha aperto la strada alla nuova era del gaming. Ron iniziò a produrre il videogioco per la LucasArts, la compagnia di George Lucas, della LucasFilms, sviluppando e migliorando l’interfaccia SCUMM (Script Creation Utility for Maniac Mansion) creata appunto per semplificare lo sviluppo grafico di Maniac Mansion, un primo gioco del 1987, nel quale, per la prima volta era possibile giocare con finali multipli e personaggi con abilità particolari. Di fatto, la cosa singolare, fu che George Lucas sentì forte la necessità di contaminarsi e contaminare altre aree dell’intrattenimento, passando dal cinema al gaming. In collaborazione con Atari iniziò a produrre videogiochi.Da Monkey Island al MMORPG di Star Wars
La svolta epocale, che poi ha gettato le basi per tutti gli ambienti con i quali molti di noi sono abituati a interagire oggi, ci fu nel 2003 con lo sviluppo del sistema MMORPG (Massive(ly) Multiplayer Online Role-Playing Game) che permise, con la creazione dei primi ambienti e giochi della Saga di Star Wars, il gioco di ruolo in rete in multiplayers. Era il tempo di un internet molto acerbo che già però tendeva all’intrattenimento condiviso, alla visione della community unita dalla necessità di non giocare più isolati ma in una sorta di mondi virtuali dove era possibile stringere relazioni, accomunati dalla passione verso un tema capace di accentrare gli interessi di migliaia di persone contemporaneamente. I personaggi, interpretati dai players, erano in grado di interagire tra essi e con il mondo virtuale nel quale erano immersi. Dal 2016, tutti i diritti della Saga, sono in proprietà condivisa di Disney e Electronic Arts, la casa di FIFA. Probabilmente non è un caso se oggi parliamo di gaming della prima ora e cerchiamo correlazioni e prospettive per il mondo dello sport.
Ron Gilbert, con la sua frase del 2004 che apre questo articolo e che trovate nel suo blog Grumpy Gramer, decreta la morte ufficiale dei giochi di avventura. Probabilmente invece quei giochi, basati sull’esperienza del singolo in un ambiente che l’utente era in grado di cambiare, non sono morti: si sono evoluti in qualcosa di più complesso e di più generosamente alla portata di tutti. Trovo in questa espressione un parallelismo costruttivo in ciò che stiamo vivendo oggi dal punto di vista tecnologico e immagino che la stessa spinta che nei primi anni 2000 fu il motore del cambiamento per il mondo dei videogiochi, oggi lo è per gli eGames e per tutto lo sport che sta cercando di intercettare nuovi luoghi dove poter declinare i propri contenuti.
Roblox e l’esperienza del FC Barcelona
Anche Roblox, che oggi conta più di 120 milioni di utenti (fonte: Roblox), nasce nel 2005, a poca distanza dallo sviluppo del sistema MMORPG, introducendo un genere specifico: MMOG cioè Massively Multiplayer Online Game che consentiva e consente, appunto, a migliaia di giocatori di interagire in un mondo virtuale gigantesco, avendo la possibilità di creare i propri ambienti personalizzati, generare, attraverso la programmazione a oggetti, dei giochi nel gioco, manipolando l’ambiente originale. Se da un lato l’esperienza di gioco pura e semplice ricorda molto quella che poi verrà assorbita da Fortnite molti anni dopo e che è la nostra eredità evoluta del presente, dall’altra c’è la possibilità non solo di creare sotto ambienti ma di poter monetizzare con la vendita degli items generati e usati dagli avatar, sia attraverso i Robux, la moneta virtuale della community, sia attraverso la revenue che gli sviluppatori/giocatori dividono con Roblox stesso. Naturalmente Roblox, in quanto ecosistema virtuale customizzabile e connesso, è in grado di ospitare eventi virtuali e quindi scatenare la creatività di chi voglia inserire piattaforme laterali nelle proprie strategie in epoca di distanziamento sociale (o fisico).
Con la prima esperienza del FC Barcelona, anche Roblox si avvia ad essere la piattaforma sperimentale scelta dallo sport per attrarre un target ben preciso che rientra nella fetta dei fan con una disponibilità già all’acquisto di skin, features e kit per interagire nell’ambiente virtuale. I players possono giocare in diverse varianti di ambienti virtuali creati appunto in Roblox, con due avatar in maglia Barça che per la prima volta nella storia del club ha una stampa a scacchi invece delle abituali strisce Blaugrana. Il club in questo modo ha la possibilità di avvicinare milioni di teenagers in tutto il mondo, regalando loro un’esperienza creativa, unica nel suo genere e declinata nel loro habitat naturale di entertainment.
L’esperienza di Roblox e del FC Barcelona non può che collegarci a Fortnite, sulle cui dinamiche e fenomenologia abbiamo già affrontato un approfondimento in passato, cercando di interpretare quanto sia rivoluzionario l’impatto di questo ecosistema, perfetto esempio di MMOG che si presta, tra le altre opportunità, all’interpretazione virtuale di eventi. La discussione aperta è sul fatto che Fortnite non rientri nella categoria degli eSports in quanto non sussistano i presupposti di competitività ma la cosa certa è che la possibilità di revenue della piattaforma e l’opportunità di ospitare eventi live, come i concerti Fortnite Party Royale di Diplo e Major Lazer, possano tradursi in una nuova dinamica di revenue per il mondo sportivo.
Animal Crossing di Nintendo e la socialità sportiva dei fan
Animal Crossing: New Horizons sembra sia talmente diventato un successo a tal punto da aver rilanciato le vendite della Switch, console ibrida della Nintendo, verso numeri ancora più interessanti della prima distribuzione globale del marzo 2017. Vi chiederete cosa potrà avere di accattivante un ecosistema che ruota intorno a un’isola dove un personaggio trascorre il suo tempo a raccogliere rami, catturare pesci e farfalle ed esplorare ogni angolo del suo territorio: naturalmente la possibilità di giocare in MMOG e di andare a trovare altri isolani e fare community. La cosa incredibile è che fenomeni che sembrano restare chiusi nel loro piccolo mondo verticale, stanno contaminando la vita reale soprattutto in epoca di social distancing, arrivando fino allo sport.
Non a caso Kosuke Hiraiwa, ex telecronista sportivo giapponese, transitato negli eSports come commentatore, ha pubblicato una serie di video in cui commenta la vita dell’isola come se fosse una partita di calcio. Non solo. In Animal Crossing, dopo aver sbloccato una serie di step e costruito una “three-star island” ogni player ha la possibilità di poter realizzare un campo di calcio, uno di basket, uno di baseball, una palestra e una locker room, tutti nella propria isola, avendo l’opportunità di farla diventare una piccola oasi dello sport da condividere, naturalmente, con i propri amici, invitati a giocare insieme in questo piccolo sport college virtuale. Non è successo solo questo. In assenza di sport molti fan di NBA e NFL si sono riversati nella piattaforma che non è propriamente un luogo di appeal per il mondo sportivo. Ma, grazie alla possibilità di caricare le grafiche con le quali personalizzare le maglie da indossare sull’isola, i fan hanno riempito il gioco di jersey evocative dei club, organizzato riunioni di supporters, condividendo poi le immagini dal gioco ai social e coinvolgendo nelle conversazioni i team.
I mondi virtuali diventano rifugio nel lockdown globale. Tanti fan di Animal Crossing hanno dichiarato che l’atmosfera del gioco, dove non esiste il Covid-19, aiuta a sopportare l’isolamento e diventa un non-luogo dove incontrare le persone, gli amici, i compagni di squadra, le persone con le quali si andava allo stadio fino a due mesi fa e vivere, in ogni caso, anche se in maniera virtuale, le proprie relazioni, la vicinanza delle persone, la condivisione delle passioni, anche quelle sportive.
I Club inizieranno a esplorare questi nuovi micro mondi digitali e, con creatività e lungimiranza, potranno connettersi con i loro fan esattamente dove i fan si aspettano di essere raggiunti dalle proprie squadre. Si ribalta il paradigma e gli stadi forse resteranno vuoti per lungo tempo: non saranno i fan ad accorrere nelle case delle squadre sportive ma saranno queste ultime che dovranno impegnarsi per recuperare il contatto con i propri tifosi nelle loro nuove dimore virtuali.
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