I social evolvono con gli utenti. Ogni piattaforma è liquida e si adatta all’evoluzione dell’individuo, all’interazione dello stesso con l’algoritmo e alle conseguenze comportamentali dell’uomo rispetto alla tecnologia. Basta questo punto di partenza per far comprendere quanto sia labile il confine tra l’uso corretto dei social e l’effettivo uso che gli utenti ne fanno. E le piattaforme? Tik Tok sarà una meteora?
Bisognerebbe parlare di quanto Facebook abbia perso terreno durante questi ultimi anni e di come l’investimento di Mark Zuckerberg per acquisire prima Instagram e poi WhatsApp sia stato determinato da una piega dell’utente che, in overload di informazioni e di contenuti, abbia deciso di abbandonare la prima creatura di Mark in favore di un ambiente più snello, veloce e facile da utilizzare. Poi, stanco di essere in un sistema che troppo ricordava il broadcasting tradizionale, ha avuto la naturale esigenza di comunicare, esprimersi, valutare, reagire. Da qui l’introduzione delle reactions, della struttura ad albero delle conversazioni su Instagram e della fusione dell’esperienza fatta sui due sistemi nello studio dell’evoluzione di una piattaforma destinata principalmente alle conversazioni di cui abbiamo già parlato in un articolo precedente.
Facebook, i gruppi, lo sport e le frustrazioni
Ma nello sport tutto questo evolvere cosa ha prodotto? Probabilmente lo sport rimane ancora la piazza virtuale mutuata che trova in Facebook, soprattutto nei gruppi, il luogo naturale delle conversazioni e le Facebook fanpage hanno ragione di esistere solo se adottate con spirito aziendale dai club sportivi e dalle istituzioni federali e di settore. Questo perché il contenuto non ha più portata organica (se non in rarissimi casi di elevato coinvolgimento della community) avendo quindi bisogno di un intervento di ADV in particolar modo per tutte quelle realtà sportive medio piccole. A volte è frustrante. Sia in Facebook che in Instagram.
Il dato di fatto è che non esistono solo i BIG dello sport. Non sono tutti CR7 o Neymar. Ci sono tanti, tantissimi atleti, anche con medaglie sul petto, che non superano i 10.000 followers su Instagram. Questo, negli ultimi anni, è sempre stato il cruccio di queste celebrity: non riuscire ad attrarre aziende che vogliano investire su community con numeri bassi, troppo bassi per convertire. Presa coscienza di questo dato di fatto, molti si sono buttati nella manipolazione dei numeri su Instagram. In che modo?
La manipolazione dei numeri su Instagram e Socialblade
Oggi è possibile acquistare followers e like, commenti e addirittura visualizzazioni delle storie: vi è mai capitato di essere seguiti da qualche account conosciuto? Fateci caso. Se questo succede più spesso di quanto possiate immaginare, allora è un bot. E come facciamo a scoprire se un profilo utilizza un bot di follow/unfollow? Esiste una web app, socialblade, che vi permette di verificare se ci siano movimenti sospetti nel profilo Instagram dell’atleta o della squadra che state seguendo (ma il monitoraggio potete farlo anche su altre 7 piattaforme). Naturalmente il controllo potete effettuarlo su qualsiasi profilo, a patto che sia un profilo aziendale e non un profilo privato.
La manipolazione si è diffusa velocemente e i numeri sono iniziati a crescere, almeno apparentemente. Come uno specchio per allodole questa crescita ha sortito, almeno nella prima fase di questa nuova e discutibile opportunità, l’effetto desiderato. Ma, come dicevamo all’inizio di questo approfondimento, le piattaforme mutano ed Instagram ha iniziato ad evolvere, tenendo proprio conto di questo nuovo fattore che si è insinuato nell’utilizzo del social.
I profili hanno iniziato a rallentare la crescita e gli utenti stessi non hanno gradito non solo l’aumento dei post sponsorizzati che hanno invaso anche le storie ma anche le campagne fatte dagli influencer, compresi quelli sportivi, con il prodotto troppo in evidenza. Infatti non è così raro trovare atleti che sponsorizzano prodotti alimentari, automobili o abbigliamento attraverso post troppo commerciali che, sempre più spesso, si allontanano anche dal tone of voice dell’atleta stesso.
Le aziende che investono nello sport e la cattiva percezione delle dinamiche di Instagram
Non è colpa dell’atleta. Molte aziende ancora non hanno compreso che per sfruttare i social bisogna capirne le dinamiche. Non è raro imbattersi in contratti nei quali si vedono richieste basiche di sviluppo di creatività troppo commerciali che, naturalmente, finiscono per ledere sia l’atleta che le aziende. L’esposizione del marchio e dell’atleta è un momento talmente prezioso che non può e non deve essere sprecato o utilizzato male. Senza considerare che questi comportamenti scatenano due effetti fondamentali: mancanza di fiducia e, per una fascia d’età in particolare, l’abbandono della piattaforma.
Secondo una recente ricerca realizzata da skuola.net su un campione di 2.500 ragazzi tra i 10 e i 25 anni, il 47% ha dichiarato di non dare particolare fiducia alle star che tuttavia seguono e questa scarsa fiducia sembra essere legata al famosissimo tag #adv obbligatorio per i post sponsorizzati. La cosa interessante è che i ragazzi riflettono sul fatto che se il personaggio famoso viene pagato per fare il post, probabilmente lo fa solo per interesse e non è detto che sia convinto di quello che scrive nel copy del post con il prodotto sponsorizzato.
E per quanto riguarda il secondo punto? I consumatori di domani, stanchi di vecchie abitudini commerciali, stanno abbandonando Instagram perchè hanno scoperto Tik Tok.
Tik Tok offrirà opportunità allo sport?
Di Tik Tok si sta parlando in maniera preponderante in queste ultime settimane. C’è chi riflette sull’acquisizione dei dati in sede di registrazione e chi della sicurezza del mantenimento dei dati stessi. C’è chi si sofferma sulla volatilità dei contenuti e chi sulla loro brevità come costruzione. Poi ci sono gli entusiasti, quelli che si improvvisano piccoli editor, tanto che molti realizzano i video con Tik Tok e poi li esportano nelle storie di Instagram che ancora viene considerato “casa”. Insomma è un mondo controverso ma tutto da esplorare. Non dimentichiamo che basterebbe che Mark prendesse qualche spunto, come ha già fatto con Snapchat e le storie, per riuscire a dare un senso ad un’app come Tik Tok.
Naturalmente c’è una cosa che ha fatto riflettere anche me: Tik Analytics. Cos’è? Un tool di analisi rilasciato il 13 novembre in versione beta che permette a marketers e alle aziende di analizzare e monitorare le campagne attive su Tik Tok. Cosa analizza? Tik Analytics è in grado di dare risultati su engagement rate, hashtag e challenge di tendenza, il tutto utilizzando rappresentazioni grafiche molto chiare da usare come report per le aziende che hanno investito in una campagna su Tik Tok.
Credo che aver sviluppato un ambiente di monitoraggio dedicato, ci debba far riflettere soprattutto sul concreto possibile utilizzo del nuovo social, araba fenice si musical.ly, nelle logiche del nuovo marketing sportivo.
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