La tecnologia ha da tempo portato lo sport fuori dal campo di gioco: virtual reality, app, big data, social media, eSports, i pilastri della trasformazione digitale hanno fatto dell’attività sportiva uno spettacolo multimediale. Un big show in continua evoluzione in cui le società hanno iniziato a fare qualcosa di più che vincere partite: hanno imparato a ripensare se stesse, come media company, lo scriviamo spesso, attrici principali su un palcoscenico grande quanto il mondo, con la necessità di offrire ai fan uno spettacolo fatto di nuove esperienze che li portino sempre più al centro dell’azione. Tutto ciò significa, per i club, correre con il passo veloce della tecnologia, cercare nuove soluzioni e mantenere un canale sempre aperto verso il futuro. Progressivamente più spesso, per questo, gli sport manager 4.0 stanno rivolgendo il loro sguardo agli hackathon.
Hackathon: una maratona di idee con la tecnologia sullo sfondo
“L’unica risorsa di conoscenza è l’esperienza”, sosteneva Einstein. Niente di più attuale. Sintesi tra i termini hacker e marathon, il termine hackathon è nato all’interno della comunità open source, per indicare un evento – una sorta di meeting – a cui partecipano esperti di informatica: che fosse per creare nuovi software o per trovare soluzioni a vecchi problemi, l’idea di fondo è sempre stata quella di collaborare.
Hackathon, un mondo.
Versatile, malleabile, ricco di possibilità. Non a caso è passato dalle comunità di hacker a contesti più formali: aziende come Amazon, Google e Microsoft organizzano hackathon per incoraggiare i dipendenti a partecipare allo sviluppo di nuovi prodotti, alcune funzioni di Facebook – come la timeline o il tasto ‘mi piace’ – sono state sviluppate durante un hackathon. Se si potesse prendere a prestito un’immagine dalla mitologia, sicuramente il paragone migliore sarebbe quello con la fucina del dio Vulcano. Un hackathon ha degli obiettivi, delle regole, dei partecipanti consapevoli della mission, una durata stabilita e delle fonti a cui attingere o fare riferimento quando si crea. Che il risultato finale sia lo sviluppo di una nuova app, di un nuovo software, una nuova tecnologia, una strategia di marketing o anche un’occasione per formare una figura professionale, questi eventi attraggono moltissimi talenti, dai professionisti più navigati ai giovani all’inizio della loro carriera. Ma cosa può portare, un hackathon, al mondo dello sport?
Hackaton e Sport: nuove idee per alternative fonti di fatturato
Innovazione. Digitalizzazione. Da anni lo sport ha fatto suoi questi concetti, consapevole della rivoluzione tecnologica in atto: i big data influenzano le decisioni dei coach, la progettazione dei dispositivi wearable e delle app, la salute degli atleti e le campagne di marketing, permettendo di gestire e analizzare – per la prima volta – una mole impressionante di informazioni. D’altro canto, la realtà virtuale e la realtà aumentata hanno aperto al tifoso una nuova dimensione in cui le distanze sono annullate, mentre il mobile ha reso disponibile una mole di contenuti e informazioni mai vista prima.
Sfide.
Programmatori di software, sviluppatori, progettisti di interfacce, project manager, allenatori, imprenditori, interessati: tutti insieme con la possibilità di interagire, di scambiarsi idee, impressioni e di accedere a risorse per trovare nuove soluzioni. Sono condizioni, nell’insieme, probabilmente impossibili in qualsiasi altro contesto che non sia un hackathon. Per molti club – soprattutto quelli di piccole e medie dimensioni – gli hackathon rappresentano anche un modo per crescere come aziende. Un hackathon, infatti, non è altro che il fulcro, temporaneo, attorno a cui si aggrega una comunità eterogenea – fatta di esperti, ma anche di appassionati – mettendo in scena ciò che, nel più profondo, una azienda sportiva è, come ogni altra, ovverosia un insieme di problemi e di soluzioni, di strategie, ma anche la sua storia, l’esperienza di chi le gravita intorno, il legame con le sue tradizioni e il territorio a cui appartiene.
Lo scopo di un hackathon è, quindi, quello di trovare modalità nuove e creative, che non esistono, però, senza una premessa più importante: la libertà di osservare da una prospettiva differente, al di là di schemi pre-impostati. Questo vale per ogni forma di innovazione. Un tipo di visione, quello dell’hackathon, che internamente, aiuta i team a strutturarsi meglio, distribuendo le competenze: ogni problema viene visto come opportunità e rappresenta la possibilità di differenti approcci collaborativi, con la conseguente scoperta di nuove risorse.
Hackathon e NBA: a canestro coi Big Data
Di hackathon e sport non si può parlare senza dare un’occhiata all’evolversi della situazione negli Stati Uniti, che sono avanti di un bel po’ di passi, come spesso accade, rispetto all’Europa. Nel paese a stelle e strisce, sport come baseball e basket hanno un enorme vantaggio – rispetto ad altri – nel campo dell’analisi dati: questo, lungi dall’accontentarli, ha spinto leghe e team – visto l’afflusso continuo di informazioni – alla ricerca di nuovi e innovativi modi per sfruttare a proprio vantaggio questa enorme mole a disposizione. L’NBA ha sempre cavalcato con successo l’onda della rivoluzione analitica negli sport: l’analisi è, difatti, diventata una parte radicata della pallacanestro moderna, come dimostra il successo di Warriors e Cavaliers.
Dal 2016, infatti, viene offerta agli studenti universitari l’opportunità di contribuire all’analisi dei dati organizzando hackathon a scadenza regolare. Sono eventi di grande successo che richiamano molti giovani creativi, e appassionati di basket, che vengono dall’America e dal Canada, per lavorare in team: un modo, anche, per reclutare nuove forze, visto che alcuni dei partecipanti al primo hackathon ora lavorano per una squadra NBA o per l’ufficio della lega. Ai partecipanti – rigorosamente studenti universitari o dottorandi – viene chiesto di affrontare – analizzando gli elementi a disposizione – problematiche che riguardano sia il basket in senso stretto, sia il marketing.
Quindi, da un lato, gli allenatori propongono questioni come, ad esempio, il carico esercitato dai giocatori, oppure l’analisi predittiva del gioco in campo o ancora l’eventualità di apportare modifiche ai regolamenti allo scopo di aumentare l’engagement. Dall’altro, i dirigenti pongono quesiti che prendono in esame dati aziendali e problemi dell’area marketing – la vendita dei biglietti, le sponsorizzazioni – , con domande sulle possibili tendenze del pubblico o, come di recente, sulla possibilità di misurare e quantificare il valore dell’intrattenimento durante il gioco. I progetti vincitori, nel corso degli anni, hanno offerto all’NBA nuove possibili soluzioni e interpretazioni dei dati, che sono stati messi a disposizione dei team e delle aziende.
Hackathon e calcio: i club europei alla ricerca di nuovi ‘schemi’
Quello tra hackathon e calcio è un binomio relativamente nuovo, ma ricco di possibilità, come confermano le attività di quattro top team europei. A guidare le iniziative, la consapevolezza che i fan rappresentino il punto vitale di una società sportiva e che sia diventata una priorità assoluta connettere quella che è una fanbase potenzialmente sempre più ampia e sempre più globale, a nuove esperienze ed eventi, dal grande valore emozionale, che si svolgano dentro e, soprattutto, fuori dal campo.
Manchester City
Senso di appartenenza e condivisione tra fan: sono questi i valori attorno a cui il Manchester City – primo tra le squadre di calcio europee – ha organizzato i suoi #HackManCity. Quello del fan 4.0 è un concetto che sappiamo in continua evoluzione, come sono i suoi bisogni, e, di conseguenza, come i ‘mezzi’ che ha per connettersi con il mondo virtuale. Per questo motivo, alla stessa evoluzione sono soggette le modalità con cui un club offre accesso a esperienze che lo facciano sentire al centro dell’azione. La sfida che si presenta ad una squadra come il Manchester City è, quindi, duplice: da un lato, mantenere un legame significativo con la fanbase locale, dall’altro stringere connessioni con nuovi fan in altri territori.
Gli hackathon hanno significato, in questo senso, un notevole passo avanti verso lo sviluppo di nuove soluzioni: 60 partecipanti provenienti da ogni parte del mondo per trovare idee per rafforzare il senso di appartenenza a una comunità globale. Questo lo scopo dell’ultimo evento realizzato, con due progetti vincitori. The Cityzen Band è una fascia da braccio che, attraverso un’app, collega i fan digitalmente e fisicamente. Buddy Up, invece, è una piattaforma su cui i fan di tutto il mondo possono connettersi con i fan locali per stabilire incontri oppure ospitare i fan stranieri che vanno in visita allo stadio e/o alla città.
Bayern Monaco
Nato con un’ispirazione inequivocabile e dichiarata – quella mutuata dall’esperienza dei club americani – il primo hackathon del Bayern, tenutosi lo scorso gennaio, ha visto scendere in campo 226 partecipanti, provenienti da 43 paesi, impegnati in sette diverse sfide con sette diversi temi – dalla fan experience personalizzata alla realtà virtuale, dal fan global networking ai servizi innovativi – mentre per la premiazione sono salite sul podio leggende della squadra come Rummenigge, Boateng e Ulreich. I vincitori assoluti – il Team Beat Adidas – sono stati premiati da Giovane Elber per aver realizzato un’app che – collegata allo store online – permette ai fan di ottenere sconti sui propri acquisti – la gran parte marcati Adidas, lo sponsor principale del Bayern – dopo aver partecipato a brevi giochi a tema sportivo. I fan possono anche usare l’app per interagire sui social, o, magari, per lasciare un messaggio di incoraggiamento per i calciatori sul video wall dell’Allianz Arena. L’idea alla base dell’app era non solo di incentivare l’acquisto di prodotti griffati dal main sponsor, ma anche rendere lo shopping online un’esperienza più divertente e coinvolgente, in modo da spingere i fan a trascorrere più tempo nello store virtuale.
“L’atmosfera era quella di una grande festa. La digitalizzazione svolgerà un ruolo importante per noi quest’anno – sarà una parte fondamentale della nostra strategia fuori dal campo” ha dichiarato il presidente dei bavaresi, Karl-Heinz Rummenigge alla conclusione dell’hackathon.
“Abbiamo deciso di organizzare l’evento HackDays perché volevamo creare una nuova piattaforma per coinvolgere persone appassionate e creativi da tutto il mondo. È sempre molto importante coinvolgere i fan e ascoltare le loro opinioni e, quindi, usare la loro passione per creare qualcosa di completamente nuovo”. Queste le parole di Benjamin Stoll, Project Manager per le piattaforme digitali del club: un modo per imparare a sfruttare nuove tecnologie da cui trarre nuove soluzioni e abilitare nuove esperienze per i fan.
Organizzare un hackathon è stato, per il Bayern, spingersi al di là del semplice evento, andando a smuovere un contesto culturale in cui l’idea in sé suonava nuova, foriera di un nuovo modo di pensare decisamente lontano dal contesto tedesco. E qualcosa si è mosso, tant’è vero che alcune startup hanno partecipato all’hackathon pur non avendo, in quel momento, alcun interesse diretto nel calcio. La maggior parte delle sfide proposte – sei su sette, a dire la verità – si concentravano su questioni e problemi che interessavano direttamente alcuni tra i maggiori sponsor della squadra. Per quanto riguarda l’Audi Challenge, ad esempio, il problema posto erano le difficoltà incontrate dai tifosi nell’andare in auto allo stadio. La cosa più rilevante è che ogni soluzione studiata dai partecipanti è stata testata durante una partita di calcio, in modo da ottenere un flusso consistente di feedback, facendo sì che ogni soluzione – dalle app alle analisi dati – non venisse elaborata senza avere un riscontro immediato.
Arsenal
10 settimane e 250 startup – di cui solo sei sono arrivate al traguardo finale – rappresentano l’incursione dell’Arsenal nel mondo degli hackathon: lo scopo, inutile sottolinearlo, quello di migliorare l’esperienza dei fan. Innovation Lab il nome dell’impresa, in cui le aziende hanno avuto la possibilità di entrare in contatto non solo con importanti membri del club, ma anche con rappresentanti degli sponsor, e di poter testare le loro soluzioni con una rete di fan online. Innovation Lab è stato decisivo per l’incontro – altrimenti impossibile – e la collaborazione tra il club e le startup. Collaborazione che, a detta di Hywel Sloman – direttore IT dei Gunners – rappresenta “un’enorme opportunità” e, sicuramente, la chiave per portare nuova vita all’azienda stessa. Il tema dell’Innovation Lab era la necessità di rendere migliore la inStadium Experience usando la tecnologia per aumentare la comprensione del match – con la realtà virtuale, la realtà aumentata e la segnaletica – , ridurre il tempo di attesa in fila e offrire allo spettatore un valore aggiunto all’esperienza che la rendesse insostituibile rispetto a quella in TV. Vale la pena esaminare quali sono i servizi offerti dalle sei startup:
Aireal. Una società che sviluppa applicazioni in realtà aumentata che ha fornito oggetti 3D AR come trofei e calciatori virtuali con cui i fan possono interagire.
WoraPay. Un’azienda di pagamento mobile che ha collaborato con l’Arsenal per consentire ai fan di ordinare cibo e bevande e farseli consegnare al posto, durante la partita.
I like It. Una startup di e-commerce per consentire ai clienti di acquistare prodotti, compresi quelli dello store online Arsenal, su un’unica piattaforma.
KonnecTo. Una piattaforma di raccolta e analisi dei dati basata sull’Intelligenza Artificiale.
Peak. Una società di analisi, che ha utilizzato l’intelligenza artificiale per fornire al club informazioni sul traffico generato sul sito web.
BotNation. Una piattaforma di chatbot – dotati, quindi, di intelligenza artificiale – utilizzati nello store online per interagire con i clienti.
Oltre a quelli strettamente legati alla natura delle startup, i vantaggi per l’Arsenal sono stati importanti:
I tempi per la soluzione dei problemi si sono notevolmente accorciati: in 10 settimane si sono trovate strade che, altrimenti, avrebbero richiesto mesi di lavoro perché, in altri contesti, è difficile racchiudere lo stesso insieme eterogeneo e vario di esperti e specialisti.
Il club ha mutuato non solo nuove soluzioni tecnologiche, ma anche nuovi modi di pensare, di affrontare le sfide, di lavorare e gestire le energie interne.
C’è stata la possibilità di lavorare con imprese in grado di realizzare prodotti di largo consumo per gli stessi fan.
Chelsea
In ordine di tempo, il Chelsea Smart Stadia Hackathon è l’ultimo degli eventi organizzati dai grandi club di calcio europei. Anche in questo caso, alle aziende tecnologiche con competenze nel campo sportivo, è stato chiesto di proporre soluzioni alternative per migliorare l’esperienza dei fan durante i matchday. La maggior parte delle novità tecnologiche riguardavano la realtà virtuale e la realtà aumentata, ma anche le app di gioco, il wearable e soluzioni per l’advertising e il coinvolgimento degli utenti.
L’iniziativa è troppo recente, però, per poter dire se qualcuna delle soluzioni proposte ha trovato l’approvazione dei Blues, ma, probabilmente, ne sentiremo parlare a breve.
I passi compiuti finora, infatti, indicano le molteplici potenzialità di un hackathon. La chiave, la differenza sostanziale, starà nel fornire all’evento stesso un altro e più vasto obiettivo: non più, come unico focus, quello di trovare solo e soltanto le idee e le tecnologie più innovative, ma immaginare l’hackathon del futuro prossimo come a un evento culturale che coinvolga marketer, developer e designer, e anche professionisti che lavorano sul territorio, considerando – ad esempio – il turismo sportivo e la possibilità di una connessione stretta e sentita con le attività del club, in relazione ai supporter.
Tecnologia e creatività, insomma, per guardare oltre e anticipare il futuro sport business model.
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