Ho 39 anni, seguo il calcio da tantissimo tempo. Da Messico ’86, per la precisione, e dall’istante in cui si materializzò, su questo mondo, la mano de D10S. Argentina in vantaggio e le urla di stupore di mio padre e mio zio, che vedevano la partita, attirarono la mia attenzione su un gioco che è diventato la mia vita. In campo, per un po’. Da tifoso, sempre. Nel lavoro, da tempo. Poco dopo quell’istante, Maradona segnò il gol più bello di tutti i tempi. Io mi innamorai di lui e, di conseguenza, del Napoli.
Ho visto decine, centinaia, forse migliaia di partite.
Soprattutto da adolescente, e di tantissime squadre. Una passione grande, per questo sport, che ho sempre legato fortemente all’aspetto tattico. Amo chi ha una propria filosofia, uno stile ben definito. Adoro la strategia, mi piace assegnare all’organizzazione un valore fondamentale in ogni cosa, anche in quelle attività che hanno nel talento e nella genialità un fattore imprescindibile. Ho sempre pensato che, organizzandosi bene, si possano risparmiare fatica, risorse, tempo. Tempo da impegnare per esprimere al meglio il proprio talento, per acquisire un vantaggio competitivo indispensabile, soprattutto partendo da condizioni di svantaggio. Quelle, insomma, pensando al calcio e allo sport in generale, nelle quali non si parte da favoriti. Perché, quando si parla di squadra, di team, di gruppo, una comunicazione chiara, un’organizzazione ben definita, possono colmare qualsiasi gap, in funzione di qualunque obiettivo da raggiungere o sogno da realizzare. Soprattutto convincendosi che il primo, fondamentale, passo, è credere che sia possibile.
Sarri e la rivoluzione della bellezza: il forward thinking applicato al calcio
Anni e anni di partite, di azioni, di gol. Belli, brutti, costruiti, fortunosi. Di ogni tipo. Con l’ansia da tifoso sempre presente, perché il pallone è rotondo e può succedere di tutto. Fino a Napoli-Lazio di tre campionati fa, il primo di Sarri a Napoli. 5-0, il risultato finale. Dopo un inizio di campionato stentato, lo ammetto senza problemi, ero tra quelli che aspettavano a momenti l’esonero del mister azzurro, che conoscevo poco, anzi per niente, e del quale non ero contento dopo aver avuto Benítez. Mi sembrava un passo indietro.
Ma mi sbagliavo.
La verità è che Sarri stava entrando in sintonia col gruppo, stava parlando con i giocatori, comunicando e trasferendo le sue idee, che erano del tutto nuove dal suo predecessore. Non migliori o peggiori. Diverse. Come, probabilmente, rispetto a quelle di qualsiasi altro allenatore. Da tifoso, da fan, da spettatore, non mi era mai capitato quello che stava per succedere per i tre anni successivi, ovvero di vedere le partite immaginando già cosa sarebbe successo, che movimenti avrebbero fatto i giocatori che indossavano la maglia del Napoli. Sincronia perfetta, uno sviluppo del gioco armonico e ritmico, senza soluzione di continuità. I match non erano più semplici incontri di calcio, ma una forma di intrattenimento, e spesso riuscivo a capire in anticipo come i calciatori si sarebbero mossi sul prato. Non sapevo se avrebbero segnato o meno, ovviamente, se un episodio avrebbe cambiato il corso della partita, e quale sarebbe stato il risultato finale.
Il pallone resta rotondo.Così come il valore del singolo, è bene sottolinearlo, non smette di essere imprescindibile e, in ogni caso, nessuno è perfetto. Niente lo è. Ma ci si può avvicinare. La costruzione ‘bassa’ del gioco, il portiere che appoggia il pallone alla linea di difesa, il dialogo stretto di Albiol-Koulibaly con Jorginho, vertice basso del centrocampo, l’avversario che viene in pressione, facendosi attrarre dal pallone, le linee azzurre che risalgono il campo, mettendosi alle spalle quelle dell’altra squadra. Il centravanti che viene incontro, portandosi dietro i centrali, Ghoulam che nel frattempo avanza, Insigne taglia, Hamsik si butta dentro. Tutte opzioni per il regista, e per chiunque gestisca in quel momento il possesso, che può decidere come sviluppare la manovra. Con un criterio di base sempre presente: movimento costante e sincronizzato. Pensato. Che trasforma l’imprevedibilità del gioco in una interpretazione precisa, ma che non si rende prevedibile dando sempre più possibilità al portatore di palla. E, soprattutto, con l’idea di comandare il gioco, di tenere il pallone, ‘spostandolo’ velocemente avanti e indietro, e poi ancora avanti, gestendo l’uscita palla al piede, senza rilanciare lungo.
“Ci prendiamo un rischio, per avere un beneficio.”
Con queste parole, infatti, Sarri sintetizza al meglio il suo calcio. Il forward thinking che lo contraddistingue. Tradotto: impostiamo partendo dall’estremo difensore, ci facciamo pressare, non andiamo in ansia ma gestiamo il pallone con continue triangolazioni. In questo modo usciamo dalla pressione, sempre col pallone, risalendo il campo e superando le linee con cui si schiera l’avversario, che a quel punto sarà sbilanciato. Ecco il vantaggio: in questo modo ci ritroviamo nella metà campo offensiva in superiorità numerica, aumentando a dismisura le possibilità di andare in rete. Creando valore, colmando con l’organizzazione il gap individuale con altre squadre, sulla carta, decisamente più forti. Un approccio diverso, un approccio nuovo, guardando oltre la difficoltà di uno stile di gioco diventato un vero e proprio trend, tra gli addetti ai lavori ed il popolo, soprattutto grazie ai social. Un modo di essere, di pensare: il Sarrismo.
Sarri, i social media e il 4-3-3: una scelta di campo e di comunicazione
“Non ci può essere paragone tra Ancelotti, che ha più di 10 milioni di follower, e Sarri, che forse ne mette insieme 10mila.” Così De Laurentiis, durante la prima conferenza a Dimaro, sede del ritiro partenopeo, sottolineando un valore corretto su cui si baserà giustamente la strategia social del Napoli, come abbiamo già avuto modo di analizzare, si è rivolto ai giornalisti presenti in sala, che hanno veicolato un messaggio che ha scatenato le discussioni di una audience vastissima, molto più ampia di quello che si possa pensare. Sarrismo, gioia e rivoluzione, Super Sarri Bros (oggi Super Napoli 2.0, dopo l’addio del tecnico), il Soviet Sarrista. In realtà Sarri non ha pagine social ufficiali, ma quelli appena menzionati sono solo tre esempi (su Facebook) di community spontanee e di una potenza mediatica che il neo allenatore dei blues ha acquisito in questi ultimi anni.
Grazie al suo calcio, all’approccio che chiede ai suoi giocatori.
Quello stesso approccio su cui il Chelsea ha costruito il messaggio diffuso per presentarlo come nuovo coach della squadra. “Vede cose che gli altri non vedono, è uno studioso. È come se avesse già pianificato la partita nella sua testa. Ti fa capire ciò che nel calcio è imprevedibile e ciò che non lo è”. Queste alcune delle frasi che lo descrivono, riportate nel bellissimo video diffuso sui profili ufficiali del club inglese.
Il social media manager del mister di Figline Valdarno, si potrebbe dire, è il suo 4-3-3.
Il Chelsea lo ha capito e tutta la strategia di comunicazione è stata basata su questo aspetto, per intercettare un pubblico orizzontale, fatto di allenatori, giornalisti, addetti ai lavori e tifosi innamorati. Di un’idea, più che di coppe e trofei. Una vittoria che va molto oltre, questo è sicuro. Dai social al sito, lo storytelling è l’elemento trainante, con un racconto breve ma emozionante, in 14 punti.
“Durante il suo periodo a Napoli, l’allenatore italiano, che ha 59 anni, ha rivitalizzato le fortune del club e le ha restituite alla Champions League, giocando quello che è il brand, il marchio di fabbrica, di un calcio offensivo e scintillante.”
Brand. Non è un caso che il digital management abbia usato quella parola. Continuando con il pensiero di Marina Granovskaia: “Siamo lieti di dare il benvenuto a Maurizio e non vediamo l’ora che porti la sua filosofia calcistica al Chelsea. Il suo Napoli ha giocato alcuni dei match più eccitanti del calcio europeo, impressionando con un approccio offensivo, il dinamismo, e, i suoi metodi di coaching, hanno migliorato significativamente i giocatori a sua disposizione.”
Approccio, metodo.
Chi si occupa di comunicazione sa che certe scelte non sono casuali. Mai. Il Chelsea ha sposato una filosofia e, nonostante molti dicessero che, nel caso di Sarri, sarebbe stata la società a portare valore all’allenatore, così come certamente, ci mancherebbe, sarà, al tempo stesso è forte la sensazione che quest’ultimo abbia già inciso fortemente sulla strategia mediatica del club che sottolinea, semmai ce ne fosse bisogno, il mindset del suo nuovo coach: “A Sarri piace che le sue squadre abbiano uno stile di gioco dinamico, veloce, che abbiano profondità e tengano il pallone. Incoraggiando i calciatori ad avere un approccio lungimirante.” Un approccio, appunto, basato sul forward thinking, usando letteralmente la definizione presente sul sito dei londinesi.
Un uomo che ha lasciato il posto in banca, quindi, che ha detto tanti difficilissimi ‘no’, nella sua vita, che ha ‘ragionato’ in quella maniera, rinunciando allo stipendio fisso per rincorrere i propri sogni, diventa l’icona del modo di pensare che il Chelsea chiede ai propri giocatori, scegliendolo per comunicare. Puntando sull’organizzazione e sulla bellezza, non in quanto concetto fine a sé stesso, come molti sembrano aver frainteso negli anni passati all’ombra del Vesuvio, ma come la strada scelta, dunque, la via da imboccare, per competere e raggiungere i propri obiettivi, dentro e fuori dal campo.
Sarri, l’intervista esclusiva e l’app ufficiale: il valore delle community spontanee e l’importanza di una Sport Platform
Come si traduce, ora, tutto questo, in contatti e monetizzazione, per una società sportiva che punta sulla trasformazione digitale? Facilmente sintetizzabile. Io, per esempio, da semplice fan, appena la firma è stata ufficializzata ho fatto una cosa per me scontata. Ho iniziato a seguire il Chelsea sulle varie piattaforme social. Amo il calcio, ma sono tifoso del Napoli, prima non lo facevo. Però adoro Sarri, il suo percorso di vita, quello che cerca di tradurre sul terreno di gioco.
E #WelcomeSarri, il video con cui il club ha annunciato il suo approdo in Inghilterra, mi ha emozionato.
Dall’influenza del Mister, quindi, con tutto ciò che rappresenta, al contenuto con cui è stato presentato. Sfruttando i new media per creare un contatto con una platea che, di fatto, si andrà arricchendo di una tifoseria variegata, fatta di follower innamorati di quello che a Napoli chiamano ancora ‘il comandante’. Quanti, come me, avranno fatto la stessa cosa? Probabilmente molti. Lo step successivo?
“Venite a guardare il video della mia prima intervista ufficiale sull’Official App del Chelsea“.
Lo stesso Sarri, in un teaser diffuso e dal grande impatto, ha richiamato le sue truppe nella piattaforma blues. Ma perché? L’intento è chiaro, segue l’evoluzione. Un nuovo livello di disintermediazione. Un contatto ancora più diretto, sfruttando un momento altamente emozionale, attirando l’attenzione con un contenuto esclusivo. Da fan a member, quante volte l’abbiamo scritto? Un filtro ulteriore grazie al quale acquisire dati, statistiche, numeri, preferenze, gradimento.
E profilare.
Per il fan engagement, con contenuti sempre più verticali, per offerte commerciali progressivamente più puntuali, per azioni di fidelizzazione e loyalty a supporto della propria strategia digitale. Per iniziative nuove insieme a sponsor e partner. Per monetizzare, insomma, la passione anche di quelli che, forse, nel caso di Sarri, non sono riuniti su pagine ufficiali, come i 10 milioni di Ancelotti, ma che, magari, sono molti di più, in giro per il mondo. Un capitale enorme su cui la società inglese ha deciso di puntare e che vuole valorizzare attraverso i propri touchpoint digitali.
“Se vedessi la mia squadra difendere e contrattaccare per 30 minuti mi alzerei e me ne tornerei in Banca, non mi divertirei.”
Perché, come lui stesso dice, e come recita una delle immagini con cui si chiude proprio il video del Chelsea che gli dà il benvenuto, “avere un sogno è una cosa meravigliosa”. I tifosi dei blues lo scopriranno presto.
E il suo seguito sui social, proprio grazie a quel sogno, lo è ancora di più.
Abramovič lo ha già capito.
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