Secondo il britannico Godfrey Harold Hardy la reductio ad absurdum, tanto amata da Euclide, è una delle migliori armi di un matematico. E i numeri, si sa, sono e saranno sempre in competizione con le parole. Anche, e soprattutto, quando si parla di marketing. Senza i numeri, le parole non servono, sostengono alcuni. Eppure, senza le parole giuste, non arrivano i numeri. Non si converte, per dirla come tanti. Ed allora, partendo da un concetto matematico, voglio provare a descrivere, in modo forse assurdo, un parallelo in linea coi tempi e con le evoluzioni della Sport Industry.
“Gestire la Juventus nell’ultimo decennio è profondamente diverso, rispetto anche solo ai primi anni ’90. Oggi siamo una grande società, con un fatturato di circa 350 milioni e circa 700 dipendenti. La nostra non è più una dimensione ludica, ma quella di una grande azienda, in uno dei pochi settori al momento in espansione. Negli ultimi sei anni, siamo passati da una perdita di 90 milioni all’equilibrio finanziario e i piani triennali approvati sono sempre stati rispettati. La società è bene impostata per reggere le sfide dei prossimi due, tre anni, poi si dovrà capire cosa accadrà nel calcio italiano ed europeo.”
In questo modo, poco tempo fa, Andrea Agnelli ha spiegato, in un’intervista a Sky, l’evoluzione dell’azienda Juventus. Ma, soprattutto, il cambiamento in atto nell’intero ecosistema all’interno del quale il club opera. Il calcio è cambiato. Lo sport è cambiato. È prima di tutto business. Numeri. Senza i quali, non esiste il racconto delle vittorie. E viceversa.
Ma facciamo un passo indietro, e torniamo all’assurdo. Partendo da una domanda: come fanno, e come dovranno fare, le aziende sportive, per generare quei numeri? Come puntare alle moltiplicazioni che implementano il fatturato? Quali sono le opportunità da cogliere?
Al centro di tutto, un unico grande protagonista: il fan. Il fan 4.0. Intorno al quale costruire la strategia. In funzione del quale organizzare il management interno e il sistema di relazioni esterno. Pronto ad assecondare l’egocentrismo del tifoso moderno. Ecco perché, in questo, e per questo, le società sportive sono e saranno sempre più assimilabili, tra le altre, anche alle aziende retail. Provo a dimostrarvelo, però, facendo il percorso inverso.
Supponiamo per assurdo, come Euclide insegna, che un’azienda come Original Marines, che cito perché è un caso che conosco bene, essendo cliente di IQUII, operi come una società di calcio. Il mio scopo è evidenziare come le dinamiche non siano così differenti e come il lavoro sulle logiche di Loyalty, Engagement e InStore Experience, sia mappabile in ambito sportivo come Membership Loyalty, Fan Engagement e Digital Arena.
Know-how ed equivalenze biunivocamente direzionabili. Due modelli per tanti aspetti sovrapponibili.
Da Loyalty a Membership Loyalty: la costruzione della Fan Identity
Cosa fa un’azienda come Original Marines, nell’era moderna, se non mettere al centro il cliente, renderlo partecipe, fino a farlo diventare un vero e proprio fan? Magari, nel suo caso, lavorando sul target mamma 25-40. Quella che decide in casa, per intenderci, sulle necessità dei propri figli. Non si tratta più, solo, di disegnare modelli, capi d’abbigliamento, per poi produrli, distribuirli e venderli. Si tratta di dimostrare, al target che si è scelto, quanto quei capi rappresentino dei valori. Coinvolgendo. Appassionando. Fino a creare un’esperienza anche in negozio. Fino a creare nuovi clienti che siano tifosi. Tifosi tanto coinvolti da portare, in massa, i propri figli sul set, come è successo per una recente iniziativa dell’azienda, per provare ad essere scelti, proprio, per rappresentare i sentimenti di quella marca.
Ma come si arriva a questo? Producendo contenuti, per attirare l’attenzione, per avere il tempo delle persone, per arrivare alle loro informazioni, ai loro interessi. Ai loro dati. E poter essere sempre più precisi nella produzione dei contenuti successivi, in un ciclo virtuoso che ha l’obiettivo della fedeltà. Una fedeltà per la quale si sia disposti a pagare, per sentirsi partecipi. Per sentirsi unici.
La loyalty, la fedeltà, è il riflesso del desiderio di acquistare ancora e ancora i prodotti, o i servizi, di un’azienda. Ed è il risultato di un’esperienza positiva. Appagante. Che va oltre il mero possesso. Nell’era dell’iperconnessione, la strada che porta alla soddisfazione dei bisogni – alla fidelizzazione – passa sempre più per i touchpoint digitali. In MyOriginal App – per esempio – Original Marines ha voluto condensare il senso dell’intera loyalty experience del brand, puntando ad abilitare il cliente nel ciclo che va dall’iscrizione all’uso dei punti accumulati tramite coupon. Offrendo, durante il percorso, altri servizi. Come la possibilità di usufruire della loyalty card, di offerte personalizzate e sconti, di accedere a cataloghi e prodotti online oltre che delle notifiche push che – grazie alle funzioni di geofencing – avvertono gli utenti quando sono in prossimità di uno store.
Ora, il ‘nostro’ Original Marines Football Club, chiamiamolo per un attimo così, dovrebbe tradurre questa esperienza, in app, nell’offerta di servizi di biglietteria – con la possibilità di acquistare online – , ma anche nei vantaggi di una fidelity card dedicata al tifoso, con sconti e offerte personalizzate per gli acquisti del merchandising. Tuttavia, il passaggio più importante sarebbe da ricercare soprattutto nel tipo di rapporto con il consumer, che assumerebbe un’identità del tutto diversa.
Non più cliente. Ma fan, prima, e member, poi.
È per questo che non parliamo più di loyalty, ma di membership loyalty e, cioè, di una loyalty finalizzata al passaggio dalla condizione di cliente a quella di fan e member, quindi di un profilo che sceglie di usufruire di uno scenario premium.
Quando parlo di membership loyalty, penso soprattutto alla necessità di costruire quella che definisco la fan identity e, di conseguenza, la member identity. Nel confronto/rapporto tra brand sportivo e fan è importante che quest’ultimo costruisca la sua identità – come tifoso – in coincidenza con quella del club, in modo da condividerne i valori nel tempo.
Identity, identità. Non ho scelto questa parola a caso.
Nella nostra lingua, ha un duplice significato. Da un lato identità, appunto, come quell’insieme di caratteri che distinguono la persona: il nome, il colore degli occhi e, per un fan, i colori della squadra del cuore, le sue icone, i suoi miti. Dall’altro identità come coincidenza, assoluta uguaglianza: il che corrisponde al bisogno dei tifosi di sentirsi parte di qualcosa di più grande. La fan identity è costruita intorno a questi aspetti fondamentali:
l’identificazione con la squadra, per la quale il fan vive i successi e i fallimenti, come suoi;
un maggiore senso di cameratismo e di connessione con chi condivide la sua stessa passione.
Il senso di appartenenza è una leva molto potente e rappresenta un valore che l’esperienza di marca dovrebbe aiutare a ricreare portando poi il fan – attraverso la sottoscrizione di abbonamenti e pacchetti personalizzati – ad assumere la member identity, a sentirsi, cioè, un fan speciale. Unico. Al centro dell’attenzione.
Da Engagement a Fan Engagement
Ciò che prima il marketing costruiva sulle categorie, quindi, oggi punta a fare sul singolo. La segmentazione del mercato, l’individuazione del target, si è spostata sulla ricerca del consumatore su misura. Ma come? Anche qui, la tecnologia, i nuovi strumenti, hanno inciso in modo fondamentale nel cambio di paradigma. I dati, il fine ultimo, si raggiungono portando il pubblico quanto più tempo possibile a contatto con i canali aziendali, per conoscerne le preferenze. Vi porto lo stesso esempio.
All’interno della propria strategia, Original Marines ha di recente lanciato un’app dedicata ai nuovi nati e al rapporto tra genitori e figli, che nasce nell’ambito della nostra consolidata collaborazione con l’azienda, che ha portato negli ultimi due anni alla realizzazione del progetto MyOriginal, focalizzato sulla creazione e l’integrazione dei servizi digitali del brand (app, programma loyalty, eCommerce, CRM e sistemi legacy) in un’esperienza multicanale.
L’app NewBorn si inserisce all’interno di una strategia più ampia che punta a strutturare un ecosistema di touchpoint in grado di offrire contenuti sempre più verticali e personalizzati ai propri clienti, con l’obiettivo di:
aumentare i punti di contatto nel customer journey dei consumatori: non solo durante lo shopping, ma anche in momenti importanti nel rapporto genitore-figlio;
migliorare la conoscenza dei propri utenti: per offrire prodotti e servizi sempre più in linea con le loro specifiche esigenze;
acquisire nuovi clienti attraverso più canali verticali, connessi e integrati tra loro.
Lo sviluppo di applicazioni sempre più verticali, infatti, e la crescente predisposizione degli utenti all’uso di prodotti e servizi digitali, sta trasformando l’approccio con cui le aziende definiscono i propri touchpoint.
Nel progetto di multicanalità, che stiamo portando avanti con Original Marines, l’approccio condiviso è orientato alla creazione di un ecosistema di applicazioni con l’obiettivo di far crescere l’offerta di servizi digitali del brand, che siano allo stesso tempo definiti sullo specifico target di riferimento e su esperienze ed esigenze verticali (loyalty, mCommerce, punti vendita, tempo libero).
Questo tipo di approccio rende possibile lo sviluppo di nuovi servizi in modo indipendente, rafforzando la relazione con l’utente senza impattare sul core-model del brand e senza vincoli temporali o funzionali derivanti dalle altre applicazioni dell’ecosistema. La creazione di un Enterprise App Ecosystem influisce, quindi, positivamente su:
ciclo di vita dei prodotti;
esperienza d’uso per gli utenti;
dinamiche di attivazione comportamentale ed engagement;
strategia di posizionamento delle differenti applicazioni;
analisi di comportamenti, dati e informazioni in modo più capillare.
Original Marines Football Club potrebbe e dovrebbe applicare questo retaggio, per esempio, in funzione di una strategia fortemente integrata e basata sulla strutturazione di un sistema di touchpoint verticali che, in ambito sportivo, possano essere focalizzati:
sulla storia del team, magari portando anche all’ingaggio di un target più maturo e affascinato dalle generazioni precedenti di calciatori, allenatori e dirigenti. Ma, soprattutto, alla costruzione del processo di identificazione di cui parlavamo prima;
sui dati e le statistiche della squadra, degli atleti, per i tornei in corso e per tutti quelli precedenti. Diventando fonte non solo per i tifosi ma anche per gli organi di informazione;
sulle informazioni quotidiane dal campo, in aggiornamento costante;
sulle informazioni commerciali, destinate all’area business ed ai propri partner;
sull’intrattenimento, con la produzione di contenuti di diverso tipo e formato in funzione dei canali scelti per la diffusione;
sulla vendita online dell’abbigliamento, dei gadget e di quant’altro sia prodotto con lo stemma societario;
sul customer care, creando un altro canale sempre attivo, per tutte le esigenze dei supporter.
Integrandoli ulteriormente con:
la fruizione di eventi dal vivo, che consenta:
l’accesso in tempo reale all’offerta di servizi della società sportiva (merchandising, ticketing, etc.),
l’interazione col territorio (trasporti, food, turismo)
la relazione con gli altri utenti (user generated content, real time);
l’esperienza nello Stadio, puntando sulla Mixed Reality, ed a quella da casa, con la Virtual Reality, aumentando la portata dell’impianto e generando nuove, infinite, possibilità;
tutto quanto concerne il nuovo scenario degli eSport: perché presto, statene certi, chiunque potrà essere acquistato dalla propria squadra del cuore, se sarà capace di farla vincere davanti allo schermo. Vi immaginate l’attrazione tra i millennial? L’attesa nel loro sistema di relazioni? Il risultato in termini di contenuti generati dagli stessi utenti, sui social? Non è più futuro. È presente.
Dati, sempre più verticali. Target, sempre più specifici. Spazi da vendere. Da monetizzare.
Ecco perché i programmi di CRM di questo tipo di aziende si somigliano tanto. Ecco perché i social diventano strategicamente rilevanti allo stesso modo. Ecco perché le aziende diventano e diventeranno sempre più media company. Ecco perché gli atleti, che diventano sempre più Sport Influencer, i tifosi, tutti, diventano media a propria volta. Esigenza di contatto, da un lato, per generare business. Bisogno di contatto, dall’altro, per soddisfare la sete d’informazione e l’egocentrismo dell’era moderna.
In Store Experience e Digital Arena
“Il mobile è la colla per tutte le altre industrie digitali ma il mobile è anche il gateway digitale verso il mondo reale, attraverso cui partecipare a questa metamorfosi globale del comportamento umano.” Tomi Ahonen
Una volta varcate le attuali frontiere della comunicazione, ogni brand sa di essere media: questa consapevolezza cambia il modo di porsi nei confronti dei clienti e cambia il modo dei clienti di porsi nei confronti del brand, aprendo le porte ad un “dialogo” in cui le parti si confrontano senza mezzi termini. Contenuti, news, informazioni, video, immagini, sondaggi: più il brand sa disintermediare ed entrare in contatto con il suo pubblico e più alto sarà il livello di engagement. E, in questo senso, più alto è il bisogno di contenuti, più importanti saranno le iniziative da mettere in campo per creare l’esigenza e, di conseguenza, un’ulteriore domanda.
Iniziative per i negozi, ad esempio. Iniziative per lo stadio, in egual modo.
A margine del mondo digitale, infatti, c’è ancora spazio per negozi fatti di mattoni, lo dimostra l’acquisizione di Whole Foods da parte di Amazon o Vistaprint. I negozi reali rappresentano, per le aziende, l’opportunità di testare prodotti e servizi, verificare i prezzi e la loro percezione da parte del pubblico, monitorare le azioni dei clienti rispetto agli assortimenti proposti e altro ancora. Il cliente omni-channel, il cliente 4.0, però, esige che l’esperienza inStore e quella online siano coordinate: ad esempio molti, mentre sono in negozio, consultano gli smartphone cercando prodotti e confrontano i prezzi sul web. Per questo, alcuni negozi offrono la possibilità di integrare le due esperienze completando l’acquisto attraverso i dispositivi digitali invece che con il pagamento sul posto. Anche i fan 4.0 sono abituati a muoversi secondo più canali e l’esperienza inStadium è, dal punto di vista del coinvolgimento, il momento chiave del percorso di fidelizzazione.
Prenotare il proprio posto, vedere un replay mentre si è nell’arena, monitorare la linea del fuorigioco che appare sul terreno grazie ad una nuova tecnologia, così come le stesse statistiche coi numeri visibili sul campo, acquistare il pallone con cui la squadra ha appena segnato, farsi prendere dall’emozione del momento e comprare la maglia del proprio idolo durante la partita, ordinare un pasto per l’intervallo e vederselo consegnare al sediolino numerato. E ancora: usufruire della geolocalizzazione e, in tempo reale, informarsi sugli orari della metro quando l’evento finirà, per poter tornare comodamente a casa o, invece, sui musei, i monumenti o i ristoranti aperti dopo il match.
InStore experience e inStadium experience sono eventi live – sebbene di natura e portata diversa – e in entrambi i casi l’esperienza online e offline, va garantita prima, durante e dopo il momento.
Contenuti, sempre contenuti. E ancora contenuti. Da contenuti a contenuti personalizzati. Fino a diventare contenuti esclusivi. Con la tecnologia e i diversi strumenti ad abilitare nuove esperienze e comportamenti.
Tante parole, insomma, in svariati formati. Per generare dati e fare numeri. Per moltiplicarli. Per monetizzare. Anche perché, come abbiamo visto, non c’è tanta differenza tra Original Marines e la Juventus.
E non è poi così assurdo.
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