Stiamo vivendo un momento complesso. L’ultimo mese è stato caratterizzato da eventi che hanno e avranno impatti sociologici importanti. Probabilmente non è ancora finita questa fase e ci troveremo a valutare gli effetti di alcune dinamiche, non solo in termini economici, ma anche comportamentali e sociali. Un virus determina l’esigenza di nuove regole, di nuove attenzioni e di nuove modalità di (non) relazione.
Lo sport, che è sempre stato una leva importante nella vita dell’essere umano e lo ha aiutato a crescere, formarsi, rafforzarsi e a evadere da problemi abilitando nuove dinamiche sociali, in questo momento vive una complessità importante ed è profondamente turbato: gli eventi sportivi, massimo momento dell’esaltazione, subiscono stop, cambi di calendario e regole di partecipazione che ne abbattono la spettacolarità, la centralità della vita di tutti i giorni e la sostenibilità.Viviamo un’emergenza che ha colpito radicalmente non solo il nostro paese ma il mondo intero e sta rideterminando i rapporti tra le persone, con la propria vita e con il pericolo di perdere alcuni punti fermi della propria esistenza. Il Covid-19 è entrato nella storia dell’uomo moderno come un’eruzione, un terremoto, uno tsunami, cogliendo tutti di sorpresa, spogliati di tutte quelle certezze acquisite fino a quel momento: anche la banale stretta di mano è qualcosa di pericoloso. E una delle cose che stiamo perdendo è la libertà della vicinanza con gli altri: sul lavoro, nel quotidiano, nel tempo libero, nello sport.
Quello che è stato il telelavoro, tanto rincorso, criticato, respinto negli anni ‘90 oggi sembra paradossalmente essere la soluzione. Lo smart working è diventato il placebo alla volontà di resistere alla nuova “catastrofe” perché il mondo non può attendere e fermarsi. Non è una scoperta, ma è l’adattamento di una pratica non valorizzata alla condizione di necessità sopraggiunta. Uno, dieci, cento, mille casi e lo smart working è diventato un termine comune, tutti ne parlano.L’uomo evolve sempre nel momento di necessità e crisi, modella le proprie abitudini e acquisisce e recupera modelli di adattamento in maniera immediata. Lavorare a distanza aiuta a contenere il diffondersi dell’epidemia ma allo stesso tempo allontana la squadra, frammenta la relazione e la rende – volenti o nolenti – più fredda, meno fluida. Può essere una soluzione temporanea da percorrere nell’emergenza ma il sistema del lavoro a distanza non è nato per sostituirsi alla compresenza, ma è nato per integrare il modello lavoro nei processi che possono essere gestiti, anche da remoto. L’uomo è abituato a stringere mani, a dare pacche sulle spalle e farsi forza con il proprio gruppo, grande o piccolo che sia e non ultimo gesticolare, ad avere empatia.
Quanto saremo in grado di resistere a non giocare la partita in campo con i nostri compagni o soprattutto non dare il cinque al giocatore a fine partita che passa sotto la tribuna? E il terzo tempo e i momenti goliardici post evento? E il viale di rientro, pieno di tifosi che parlano dopo la partita dei momenti salienti? Saremo in grado di rapportarci, per una manifestazione sportiva (o anche musicale) solo tramite le connessioni digitali, senza un contatto e senza toccarci, pogare, abbracciarci ed emozionarci fisicamente insieme? Lo sport in che modo continuerà ad essere giocato e vissuto, anche di quella parte non solo mediatica, ma fatta di sudore, grida di esultanza, gesti e istanti vissuti?
Avere spettatori da remoto – collegati su piattaforme globali – che consentiranno la fruibilità dei contenuti e l’interazione, con mille funzionalità per vedere, rivedere ed integrare contenuti: questa sembra la soluzione.
In questo mese, sui nostri canali, abbiamo elencato gli eventi sportivi che sono stati cancellati. Aggiorneremo ancora la lista perché – purtroppo – giornalmente, riceviamo segnalazioni di nuove disposizioni da ogni angolo del globo e nulla ci garantisce che le prossime Olimpiadi di Tokyo si svolgeranno regolarmente. Questo particolare dettaglio racconta la gravità intera di un mondo che sta rallentando (non voglio pensare che si fermi) davanti ad un piccolo, invisibile e insidioso nemico in grado di bloccare ogni record di ciascuno dei migliori atleti olimpici che abbiamo sulla terra.
La sport industry, come tutte le industrie, troverà il modo di modellarsi e reperirà nuove energie e sinergie dall’evoluzione forzata della distribuzione dei contenuti e da nuove forme di partecipazione e coinvolgimento, sperando di non perdere completamente quello che dello sport è la parte più bella: il superamento dei limiti fisici dell’atleta.
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