Influencer Marketing e Sport 4.0: i ‘casi’ Davis/Red Bull e Ibrahimović/MLS e la genesi del Player 4.0

anthony davis, red bull e player 4.0

Red Bull e Anthony Davis. Social Media, Player 4.0 e Fan Engagement. Non un’azione di gioco, non un canestro, ma una scelta personale. Un video semplice, un asciugamani con un logo e il coinvolgimento dei supporter: limare o non limare le sopracciglia? Diffondendo il contenuto sui rispettivi canali e legando tutto all’attualità, il primo aprile, mantenendo sapientemente il dubbio sull’effettivo ‘taglio’.

Il risultato? Un ‘ingaggio’ molto più alto, rispetto ai ‘numeri’ medi, soprattutto sui profili Facebook e Twitter, del cestista, oltre che su Instagram. A conferma di quanto, nell’era della disintermediazione, i Fan 4.0 siano desiderosi di partecipare. E di come, gli Sport Influencer, rappresentino touchpoint indispensabili per le nuove strategie dello Sport Marketing 4.0. Non più, però, semplice visibilità, ma una grande opportunità, per i club, i brand e gli stessi atleti, se supportata da nuovi strumenti studiati per sfruttare queste audience, sempre più verticali, in funzione dei dati e delle nuove dinamiche di acquisizione, profilazione e monetizzazione. Lavorando per creare valore, puntando al coinvolgimento dei tifosi e, appunto, alle loro informazioni, per poi capitalizzarle.

Abbiamo, quindi, voluto approfondire il tema con tre profili ai quali chiedere un parere su due casi specifici e, più in generale, sugli Sport Influencer.

Siamo con Leonardo Ciccarelli, giornalista sportivo ed attento osservatore delle dinamiche dello sport americano, in particolare dell’NBA, Matteo Pogliani, esperto di Influencer Marketing, e con Emanuela Perinetti, Influencer Marketing Manager.

Gli ultimi giorni ci hanno offerto i ‘casi’ di Ibrahimovic, appena sbarcato negli USA, e, appunto, quello di Anthony Davis e Red Bull, nuovi esempi delle grandi evoluzioni della Sport Industry, soprattutto in funzione del ruolo degli atleti, gli Sport Influencer, nelle strategie di fan engagement di club e brand, in rapporto alle nuove iniziative legate a pubblicità, sponsorizzazioni e monetizzazione.

Ciao Leonardo, Matteo, Emanuela, prima di tutto grazie per aver accettato di rilasciarci questa intervista. Nello scenario attuale, che evidenzia lo SportTech come nuova tendenza, nasce Sport Thinking, il Brand Magazine di IQUII Sport che ha l’obiettivo di rappresentare, attraverso una nuova vision, un punto di osservazione ed approfondimento sull’innovazione in ambito Sport Business, sul cambiamento in atto e sulle nuove dinamiche del settore. I social media, in tal senso, giocano un ruolo sempre più importante e rappresentano degli asset strategici fondamentali, tra i quali rientrano sempre più le fanbase degli stessi atleti. Questi ultimi stanno diventando veri e propri sport influencer, media a propria volta, che integrano ed amplificano la portata di diffusione delle società e le opzioni di visibilità da monetizzare. Cosa ne pensate? In che direzione andranno, secondo voi, le nuove strategie di fan engagement?

Leonardo: “Il processo di fan engagement che sta vivendo il mondo dello sport è un ritorno al passato ed anche la gestione del fenomeno può essere ricondotta a quanto già successo in precedenza, persino i commenti sono simili: quante volte abbiamo sentito che i social hanno rovinato non solo il calcio (nostro sport principale) ma lo sport in generale? Tantissime. I nostri padri, 20enni degli anni ‘80, e forse in misura minore anche i nostri nonni, hanno vissuto lo stesso processo di industrializzazione con le sponsorizzazioni classiche. In Europa arrivò tutto molto tardi, la diffusione dell’immagine dello sportivo come uomo immagine era lontanissima dagli standard attuali perché le condizioni economiche e la visibilità erano totalmente diverse. Così, mentre si trovavano giocatori di baseball sulle confezioni di cereali nelle case dei newyorkesi degli anni ‘60, da noi Mazzola doveva combattere con i suoceri che ritenevano disonorevole per la figlia sposare un calciatore. Lo stesso Rivera riteneva il calcio finito nel momento in cui sono entrati in gioco pesantemente gli sponsor, stesso esatto discorso che fanno le generazioni precedenti a questa con i social network e tutto ciò che ne viene.

Pur avendo degli esempi concreti in Europa, e quindi soprattutto provenienti dal mondo del calcio, la trasformazione degli atleti in sport influencer, per una questione culturale, la si può osservare soprattutto in America, e l’esempio migliore non può che essere quello di LeBron James, influencer vero e proprio che ha inciso nelle ultime elezioni.

Il suo rapporto con Obama gli ha fatto sostenere la Clinton, dopo aver riflettuto molto, come ha raccontato egli stesso a ‘The Players’ Tribune’, ed oggi è di fatto un avversario politico di Trump, con molti a sostenere che in futuro potrebbe esserci una candidatura alle primarie democratiche del ‘King’. Qualche settimana fa una collega di Fox News intimò a James di pensare solo a palleggiare, dopo un’aspra critica del giocatore dei Cavs alla gestione della crisi dei diritti civili in America, e lui in tutta risposta pubblicò su Instagram una foto semplice, con delle lucine che ricordano le immagini di Stranger Things, con la scritta ‘I am more than an athlete’, direi che la direzione l’ha tracciata il Prescelto.”

Matteo: Non c’è dubbio che l’interesse che la gente, e quindi gli utenti, hanno per lo sport, renda gli atleti fenomeni sociali dal potenziale rilevante. Figure che hanno sempre avuto risonanza, impatto, e ancor di più oggi grazie ai social media e alla miriade di conversazioni che prosperano online, sono in grado di massimizzare questo loro ruolo.

Ciò significa maggiori opportunità, ma, soprattutto per le società in cui giocano e che riescono a farli diventare parte integrante della comunicazione del team (o meglio cassa di risonanza per incrementare visibilità), vuol dire engagement e reputation. Le società sportive sono veri brand e come tali lavorano per migliorare il rapporto con i fan e valorizzare questo legame anche a livello commerciale.

Non mi stupirei che a breve (ma lo è già in parte adesso) il potenziale ‘social’ degli atleti sia un parametro fondamentale anche in fase di mercato. Avere certi giocatori significa più attenzione e awareness che si traducono in vendita di biglietti, diritti e merchandising. Soldi, in poche parole.”

Emanuela: L’influencer marketing è una realtà oramai considerata in cui si riversa una porzione rilevante del budget marketing delle aziende. L’obiettivo dei marketer è sempre più quello di generare contenuti autentici sui loro brand e di aumentare l’engagement con i propri clienti e con i prospect. In quest’ultimo aspetto i cosiddetti ‘sport influencer’, atleti che si sono distinti per i loro valori e le loro qualità in campo e fuori, costituiscono un asset su cui fare leva per due motivi: il primo è sempre ‘l’autenticità’.

I fan degli atleti si riconoscono nei propri idoli, animati da un sentimento aspirazionale ed emulativo. Le icone, penso a Bolt, CR7, Lebron James, sono oramai oltre il concetto stesso di sport influencer, e incarnano essi stessi veri e propri ‘brand’ con uno stile di vita e di comunicazione unico e riconoscibile. Entrare in queste conversazioni tra il fan e l’icona sportiva per un brand, vuol dire trovare una nuova chiave di ingaggio, diretta e autentica con i consumatori.

Questo a patto che l’autenticità non venga tradita. Nel mio lavoro quotidiano di Influencer Marketing Manager, mi trovo spesso a sconsigliare ai brand e agli atleti i cosiddetti ‘post-marchetta’. L’influencer marketing nello sport deve necessariamente puntare a trovare un nesso valoriale tra lo sport influencer e la marca. In caso contrario, le strategie possono trasformarsi in un boomerang che vedrebbe indebolire l’engagement dei fan piuttosto che rafforzarlo.

Cambiano gli scenari della Sport Industry, si evolve il ruolo del giocatore. Il player 4.0 è nel vivo del gioco, dentro e fuori dal campo. Costruisce la sua reputation, dialoga coi follower, mostra la propria immagine, sia pubblica che privata, producendo contenuti ed ampliando la propria audience, sfruttando i nuovi touchpoint digitali per creare un valore aggiunto indispensabile, anche per club e brand, per attività commerciali sempre più verticali. Abbiamo seguito, di recente, l’iniziativa di Red Bull con Anthony Davis. Qual è la vostra opinione? A cosa punta, secondo voi, un’azienda che investe in questo tipo di attività?

Leonardo: “Ciò che è successo con Davis probabilmente cambierà l’approccio al business di molte aziende. Ricostruiamo brevemente: il giocatore dei Pelicans su Twitter fa un sondaggio chiedendo se deve togliere oppure no il monociglio, che è il suo segno distintivo, che sarà bruttissimo a vedersi ma che lo ha reso immediatamente riconoscibile, come furono i dentoni di Ronaldinho. Il sondaggio, secondo qualcuno, pilotato, termina con un distacco infimo, 51-49 per la rasatura e così Davis, con indosso un evidentemente superfluo asciugamano marchiato Red Bull, si rasa la porzione centrale.

Panico, letteralmente panico nel mondo NBA ma… Pesce d’aprile.

Il ‘Brow’ di Chicago è salvo. La Red Bull ha usato l’immagine di uno dei giocatori più forti al mondo per brandizzare, inteso proprio come marchiare, l’uomo. Non mostra un prodotto Red Bull, non usa un motto, non fa vedere le grandi doti, anzi, prende in giro gli utenti con la viralità di un gesto, unendo la fama di chi lo compie al simbolismo che lo rappresenta. Ha fatto ‘girare’ il marchio arrivando su ogni smartphone di ogni appassionato di basket, e tutto questo in maniera rapidissima, dato che il passaparola è stato impressionante. L’azienda austriaca da anni investe nello sport in modo sapiente, forse è leader in questo, ma mai come in questo momento ha puntato alla viralità di internet. Penso che Davis non sarà il solo a far parte di questa famiglia.”

Matteo: “Una ‘case hostory’ bellissima e molto interessante, soprattutto perché vede coinvolto un giocatore NBA di primo piano a livello di prestazioni, ma che fino ad ora lo era stato certamente meno come visibilità. Davis non è certamente Embid, ma si dimostra attento e pronto. Pronto persino a scherzare su un suo ‘difetto’ fisico, il celebre ‘monociglio’.

Un contenuto che contemporaneamente unisce ironia, volontà di esaltare il lato umano di AD, di relazionarsi con i fan e un pizzico di real time marketing (tutto questo è stato fatto sotto il ‘cappello’ del pesce d’Aprile).

L’attenzione e il clamore sui social sono stati alti, tanto alti da lasciare il segno.

 

sport influencer

 

Il picco di menzioni è legato proprio alla campagna ed è perfetta dimostrazione dell’impatto avuto: +85% di ‘mention’ rispetto alla settimana precedente e +94% di autori unici. L’engagement prodotto ha toccato addirittura un +618%!

Anche le parole più utilizzate nei post ci mostrano la rilevanza del caso. 

 

sport influencer

 

Per un’azienda ciò significa non solo visibilità, ma anche la generazione di dialogo e relazioni attraverso la mediazione di una figura apprezzata dagli utenti, ritenuta di grande valore e trust.

Una awareness che per questo diventa molto più ‘qualitativa’ e quindi concreta, capace di smuovere. Chiamarlo advertising è, per questo, riduttivo. Non è un caso che veda coinvolta Red Bull, da sempre molto attenta su questo aspetto.

Emanuela: Il caso di Anthony Davis, brand ambassador per Red Bull, rappresenta proprio il match perfetto tra marca e sport influencer di cui parlavo prima. Inoltre, offre spunti interessanti di riflessione proprio sull’evoluzione della figura dello sportivo da ‘testimonial’ tradizionale a vero e proprio influencer 4.0. Già nel 2015 la star dei New Orleans era stata discussa nel mondo dello sport marketing: nella campagna per Red Bull, Davis è stato fotografato da Dustin Snipes, uno dei migliori fotografi americani, mentre sembrava schiacciare e stoppare il sole. Un riferimento neanche troppo velato alle potenzialità incredibili della bevanda, ‘connessa’ all’universo valoriale dell’energico player. Ma questa è storia e tradizione.

L’ultima iniziativa del brand con la star nel NBA, non riguarda un semplice spot, ma è un’iniziativa di comunicazione sulla fanbase che parte dall’ascolto dell’audience, dalla valorizzazione di un insight e che sfocia in un engagement molto più elevato rispetto ai numeri di un tradizionale spot. Il video è molto più semplice (a conferma del fatto che con la giusta strategia non sono sempre necessari budget inarrivabili) ma la domanda è diretta e riguarda un aspetto personale dell’atleta come un suo dubbio estetico su un aspetto che accomuna tutti: le sopracciglia… La possibilità per il ‘fan 4.0’ di intervenire nella vita dello sportivo crea una disintermediazione senza pari, sfruttando i canali social di Davis, touchpoint fondamentali oggi nelle strategie di qualsiasi azienda.

Al tempo stesso il caso è emblematico di come la Sport Industry non sia più solo sport. Si tratta di intrattenimento, un tipo di intrattenimento che non può permettersi di prescindere dalle caratteristiche proprie della comunicazione di oggi, che punta su metriche, dati, sull’ascolto dei fan, sulla semplicità dei messaggi e sulla rilevanza dei contenuti per il target.

Lo sport influencer crea nuove tendenze, genera visibilità, acquisisce dati. Vanta milioni di fan sulle principali piattaforme social (Facebook, Instagram, Twitter e Youtube) e punta su azioni studiate e mirate di content management, fan engagement e loyalty a supporto della propria strategia digitale, monetizzando direttamente e indirettamente la sua capacità di diffusione. Altro esempio di questi giorni è quello di Ibrahimovic, subito protagonista con la maglia dei Los Angeles Galaxy. Può, Zlatan, rappresentare un nuovo elemento di posizionamento dell’intera MLS, in un Paese, gli Stati Uniti, nel quale il calcio è uno sport secondario e dove regnano il baseball e la NBA?

Leonardo: “Cominciamo col dire che la premessa della domanda è ZLATAN IBRAHIMOVIC. Proprio in maiuscolo, urlato. Passo indietro, 7 giugno 2016. Ibra dice che avrebbe fatto in diretta Facebook un annuncio importante sul suo futuro e mentre è svincolato, tutti pensano avrebbe annunciato la futura squadra. Milioni di persone incollate al suo profilo ufficiale per poi scoprire a cose fatte che il campione svedese avrebbe lanciato una linea di intimo, linea di intimo che non esita a mostrare continuamente, sul campo, nelle interviste ma soprattutto sui social, quindi ha sfruttato il proprio fan engagement per capillarizzare la conoscenza del nuovo prodotto. In realtà, poi, l’utenza non reagisce molto bene a questo tipo di scherzetto: sopra, per Davis, molti hanno preso a male la sfacciata sponsorizzazione e i commenti al mancato annuncio di Ibra non furono lusinghieri, ma se l’obiettivo di un’azienda è mostrare il marchio, l’obiettivo è centrato in pieno.

Tornando ai giorni d’oggi, l’apporto di zLAtan, come scritto sui social MLS, nel campionato americano può essere equiparabile a quello di un meteorite fuori e dentro il campo. Sul rettangolo, lo si è visto in 2 minuti. Fuori rappresenta una svolta nella storia della città, più che del campionato. Mai prima d’ora lo sport influencer più importante di Los Angeles era stato un calciatore, anzi, mai era stato un qualsiasi sportivo che non provenisse dal basket, questo perché il football ha attecchito sempre poco nella Città degli Angeli. Il baseball ha gli amatissimi Dodgers, ma non è uno sport universale e anche come tale, essendo il basket lo sport di Los Angeles, i re della città sono stati sempre i cestisti, da quando i Minneapolis Lakers si sono trasferiti in California. La squadra ‘Purple and Gold’ arriva con Elgin Baylor e soprattutto Jerry West, che ancora oggi influenza la vita americana e soprattutto dell’NBA ed è forse il capostipite degli influencer, dato che la silhouette che vedete nel logo NBA è proprio di West.

Dopo di lui arrivò Wilt Chamberlain, vera e propria star dentro e fuori, il primo giocatore di basket ad invadere quotidianamente le tv degli americani anche grazie alla sua avvenenza, che lo portò a conquistare alcune delle più belle donne del mondo. Andato via Wilt, ecco arrivare Kareem Abdul-Jabbar e si dovrebbe aprire un capitolo a parte perché faceva in radio ciò che oggi si fa sui social. Una vita spesa per l’integrazione degli afro americani e dei black muslim, un uomo che ancora oggi a mezzo stampa, grazie ad una cultura e ad una intelligenza fuori dal comune, impegna le menti degli americani. Poi inizia il tempo di Magic Johnson, del suo showtime fino alla scoperta dell’HIV, portando la malattia sulla bocca di tutti, dato che prima la si relegava alla sottocultura homo, se non un marchio di droga vero e proprio. Ad oggi si ritiene essere ‘Magic’ il più importante investitore nella storia della ricerca sulla malattia. Al suo addio, ecco Kobe Bryant e non c’è più bisogno di presentazioni. Dopo un anno col titolo vacante, arriva però Ibra.

Il primo bianco dai tempi di West, il primo non-cestista.

A Los Angeles non si parlava così tanto di calcio dai tempi di Beckham, e qui si apre ancora un altro discorso: Ibrahimovic in America non è famoso quanto il baronetto, ma l’aura di immortalità che accompagna lo svedese, ed il personaggio da ‘heel’ che si è costruito, lo hanno subito fatto amare facendo schizzare le statistiche sui dati di vendita e sui social network della MLS. Zlatan Ibrahimovic, a tutti gli effetti, è una risorsa per il soccer e gli Stati Uniti sono interessati a questo sport per il futuro più che a ogni altro per questioni meramente economiche: il calcio è l’unico sport davvero universale, è una fetta di mercato che non possono perdere, dentro e fuori dal pc.”

Matteo: Ti rispondo con un grafico che analizza le conversazioni online dell’ultima settimana e paragona MLS, NBA e MLB. Solitamente, vista la popolarità di Basket e Baseball negli USA, non ci sarebbe alcuna chance per il soccer, ma, questa volta grazie a Zlatan, è andata diversamente.

 

sport influencer mentions

 

La MLS risulta il campionato più ‘discusso’, con un inequivocabile picco dovuto all’esordio (col botto) di Ibra. Idem per il sentiment. Un caso? Non credo proprio. Anche l’analisi delle keyword non mente: sempre e solo Zlatan. Addirittura l’emoticon del leone, animale preso dal calciatore come simbolo.

 

sport influencer

 

Zlatan smuove in campo e, conseguentemente, anche nel mondo digital. Merito non solo del suo talento con il pallone, ma anche del suo modo unico di comunicare. Un personal branding che fa la differenza: dovunque sia andato ha saputo sempre lasciare il segno, anche a livello marketing.

Un’opportunità ben compresa da lui e da tutta la MLS, che grazie a Ibra può davvero provare ad immaginare un nuovo tipo di posizionamento.

Emanuela: Qui la risposta l’ha data il suo procuratore, Mino Raiola, con cui abbiamo avuto modo di commentare l’ingresso di Ibra nel panorama calcistico statunitense. Per citarlo ‘È già MLZ!’ È il campionato di Zlatan Ibrahimovic, insomma. Parole non a caso, tanto che nello sport influencer marketing si è già teorizzato il ‘The Zlatan Effect’. Supportato dai numeri. Secondo Nielsen Social, il match tra i Los Angeles FC e gli LA Galaxy ha ricevuto complessivamente 1.987M di interazioni, la maggior parte dei quali derivanti proprio dai canali Instagram (782K), Facebook (712K) e Twitter (493K). Il video del goal di Ibra su YouTube è stato, sabato sera, il trending video, il numero 1 su YouTube in tutti gli Stati Uniti d’America.

Un risultato tutt’altro che banale se pensiamo che gli States sono la patria degli Youtuber e dove altri sport hanno certamente più attenzione del calcio. I risultati, quindi, sono stati raggiunti da Zlatan non solo grazie alle sue eccellenti performance sportive, ma anche e soprattutto per la sua mirata e curata strategia di comunicazione partita dalla famosa lettera ‘LA You’re Welcome’ del calciatore alla città. Proprio questo ‘utilizzo’ dell’immagine del Campione svedese, da parte del Club e dell’intera League, ha permesso una valorizzazione dell’intero Sistema Calcio americano. Sabato infatti, con i numeri che citavamo prima, la MLS Soccer è diventato l’evento sportivo più seguito degli Stati Uniti superando il baseball e il basket. Cosa vuol dire? Che lo sport influencer può essere una canale di engagement non solo per i brand ma anche per i club e le leghe che sempre più hanno l’obiettivo di trovare nuove vie di monetizzazione e nuove forme di intrattenimento.

Chiaro che quando i risultati sono questi, si comprende anche come e perché certe icone possano essere pagate anche migliaia di euro per tweet, post e strategie di comunicazione integrate. Sempre, e non ci stanchiamo mai di ripeterlo nel nostro lavoro quotidiano in Cucu Sports, gli investimenti riescono ad avere un ROI significativo solo se mantengono fede all’autenticità! Il tone-of-voice e le azioni di Zlatan sono sempre stati coerenti alla sua personalità e ai suoi valori di sicurezza, autostima e consapevolezza. Impossibile non aver notato i suoi due tweet, uno rivolto proprio a Mino Raiola, colpevole di averlo portato a Los Angeles a parametro zero e il secondo rivolto a Cristiano Ronaldo dopo lo straordinario gol in bicycle kick in Champions League. ‘Provaci da 40 metri’, ha sentenziato Ibra. Chiaro riferimento alla sua magia di Svezia-Inghilterra del novembre 2012. Opinabile? Sì, ma autentico!

Dall’unione delle dinamiche di marketing 4.0 e industry 4.0 nasce il nuovo concetto di sport 4.0. I dati sono al centro dell’interesse e delle strategie delle aziende per generare nuove possibilità di advertising, sponsorship e monetization. E, per arrivare ai dati, è necessario generare una continua esigenza di contatto coi supporter: il tempo è il campo sul quale si gioca la partita di un business in cui si punta a vincere l’attenzione del pubblico. Le aziende, quindi, in primis quelle sportive, si stanno trasformando in vere e proprie media company, per generare contenuti da diffondere sfruttando le nuove tecnologie. I giocatori, in questo senso, rappresentano elementi di grande attrazione e gli attori protagonisti. Come vanno coinvolti, a vostro parere?

Leonardo: “Vanno coinvolti per ‘ingaggiare’ il pubblico e in questo senso basta vedere in casa nostra, ovvero al Milan nel biennio cinese. La gestione dei social media da parte dei rossoneri è pressoché perfetta per me, perché hanno creato storie, affetti, hanno risposto addirittura ad accuse gravissime di frode fiscale a mezzo social, fino ad arrivare alle presentazioni dei calciatori, alle frasi tormentone di Fassone e Mirabelli, alle battute.

Bonucci che sposta gli equilibri e prende in giro Fassone, anticipandogli di passare alle cose formali, è un caso specifico di questa digitalizzazione. Se l’avessero fatto in una classica conferenza stampa, il tormentone non sarebbe nato, probabilmente perché ormai il passaggio è da ‘tormentone’ a ‘virale’ e tutto il movimento, anche i vecchi e nuovi media esterni, ne giovano se riescono a seguire l’onda. L’annullamento della barriera tra il pubblico e l’atleta rende tutto più facile per il club, che può sfruttare la popolarità dello stesso, ma con un occhio sempre al diritto d’immagine.

L’atleta è esso stesso una media company, quindi, la società, ad un certo punto, deve fermarsi perché spesso c’è un vero e proprio conflitto di interessi, come per esempio un club con uno sponsor tecnico ed un atleta con un altro sponsor tecnico concorrente. Sui social tutto questo viene annullato però, conta solo il volto e il pubblico, come nel Grande Fratello: vuole solo entrare nelle vite dei propri beniamini.”

Matteo: Fondamentale lavorare con un approccio strategico e non semplicemente cercando like. È indispensabile sfruttare e creare sinergie tra i canali ufficiali del club e quelli dell’atleta. Pubblici diversi, come diverso sarà approccio e ‘Tone of Voice’, ma facce della stessa medaglia.

Ognuno è strumento fondamentale per far parlare del team e generare engagement.

Atleti che sono base fondamentale anche per la content creation, protagonisti indiscussi e amati che non possono essere trascurati quando parliamo di contenuti. Sia chiaro, ciò non significa accontentarsi: non basta il ‘nome’, serve creargli attorno un’esperienza da proporre all’utente, esperienza che diventa il reale ‘driver’ per connettere tutti gli attori in campo: squadra-atleta-utente.

Emanuela: Gli atleti restano atleti, e non dobbiamo dimenticare che il loro principale focus è il gioco. La disciplina sportiva è più evidente in altri sport e spesso passa in secondo piano nel calcio ma rimane un elemento imprescindibile. Cristiano Ronaldo non sarebbe il migliore al mondo senza la sua dedizione. Allo stesso tempo Cristiano Ronaldo non sarebbe CR7, senza le sue linee di abbigliamento, le sue pubblicità, il suo essere continuamente in dialogo con i suoi fan grazie ad experience che coinvolgono i suoi seguaci rendendoli protagonisti. Il primo passo è studiare l’atleta, analizzare le sue caratteristiche e gli elementi su cui fa leva il suo rapporto con la sua audience. Può essere la dedizione, appunto, l’irriverenza (come per Zlatan), lo stile (penso a Beckham), la spontaneità (il Papu), l’entusiasmo (Dybala con la sua Mask) e potremmo proseguire. Proprio Dybala, tra l’altro, è il nome su cui punterei come prossimo sport influencer 4.0, con la giusta strategia penso possa arrivare a creare un inimitabile brand di se stesso.

Ogni risultato, match, goal, traguardo raggiunto, dovrebbe essere raccontato sfruttando l’insight principale sull’atleta per arrivare a comunicare costantemente e coerentemente con i fan lasciandolo il più possibile stesso libero di esprimersi e iniziando con lui un vero e proprio processo di co-creazione dei suoi contenuti. Ci capita che siano più spesso gli atleti stessi desiderosi di aprirsi, di sperimentare, di capire cosa pensano i fan e quale è il modo più efficace di ‘offrire il migliore spettacolo’ non solo dentro ma anche fuori dal campo. Le sponsorship che proponiamo con Cucu, sempre più di frequente, nascono proprio sulla base di questo legame emozionale che l’atleta ha già con il marchio e che offre un’ulteriore punto di contatto con il suo pubblico.

Comunicare prima dei ‘media tradizionali’ il proprio punto di vista sui social, sia del club sia quelli personali, evita le strumentalizzazioni a cui spesso sono soggette le dichiarazioni degli sportivi. Informare il pubblico direttamente è il primo passo, per i club, per ‘disintermediare’, offrendo ai fan anche le possibilità di conoscere il famoso ‘dietro le quinte’. Anche in questo aspetto un approccio vincente è rappresentato dalla co-creazione e dal coinvolgimento diretto degli atleti in base alle loro inclinazioni, come il caso Zlatan-LA Galaxy ci ha dimostrato.

Le partite, gli allenamenti, il team, la vita privata, la personalità, gli interessi, le attività con gli sponsor. Diversi tipi di contenuti da veicolare sfruttando i new media per informare e intrattenere i fan 4.0, per migliorare l’interazione con la propria fanbase, per aumentare l’engagement e per ottimizzare i processi di data acquisition e data monetization, semplificando la pianificazione di efficaci strategie di fidelizzazione e membership. Sembra indispensabile, per l’atleta 4.0, puntare sui nuovi strumenti per accentrare la gestione ed organizzare al meglio le comunicazioni ufficiali da veicolare. Che ruolo avrà, quindi, dal vostro punto di vista, la tecnologia?

Leonardo: “La tecnologia, intesa come mezzo di comunicazione, avrà un ruolo sempre più centrale perché la comunicazione avrà un ruolo sempre più centrale. Oggi ogni atleta è soggetto ad uno sforzo comunicativo mai richiesto prima per il proliferare delle testate, per il moltiplicarsi dei contatti, perché con internet una dichiarazione dell’ultima ruota del carro di un campionato di Eccellenza può essere letta dopo 10 minuti anche dall’altra parte del mondo se c’è un nostalgico che la vuole leggere. Questo significa che agli atleti sono richieste nuove attenzioni e nuove competenze.

Parliamo di due casi limite, in positivo ed in negativo, cominciando da quest’ultimo. Sturaro insulta un bambino che lo aveva provocato in chat. Di base è un gesto poco carino, ma non eccessivamente grave che in un altro periodo storico, faccia a faccia, poteva non accadere o comunque ridursi ad un battibecco con i genitori. Oggi non è più così ed il calciatore è stato pesantemente richiamato per l’increscioso accaduto. Di contro, penso a Gigi Datome, che è in un contatto perenne con gli utenti, quasi eccessivo per quanto è disponibile alle richieste delle persone, ma l’ex giocatore dei Pistons è diventato un idolo proprio per questo suo modo di fare, schietto, genuino, ed ha regalato gioie immense ai più sfortunati che chiedevano solo di condividere un sorriso insieme.

Senza social magari queste persone non avrebbero mai incontrato il proprio idolo e senza la sensibilità di ‘Gigione’ tutto questo non sarebbe successo. Ci sono ancora atleti che rifiutano i social ma ciò, un giorno non lontano, non sarà possibile. ‘Che succede quando una forza inarrestabile incontra un oggetto inamovibile?’, si chiedeva Alfred nel Cavaliere Oscuro. Questo è il ‘Paradosso dell’Onnipotenza’, è irrisolvibile, ma in questo caso l’oggetto inamovibile soccombe semplicemente scomparendo.

Matteo: Vitale, perché ci permette di realizzare in modo sempre più facile e immersivo contenuti altamente qualitativi e, quindi, di mettere in relazione team, sponsor e, soprattutto, fan.

Le arene connesse sono solo la punta dell’iceberg, sotto ci sono realtà aumentata, 3D, big data, strumenti che presto o tardi diventeranno la normalità (e già per molti non lo sono). Essere pronti a cogliere le nuove opportunità che la tecnologia ci mette a disposizione è quindi un obbligo.

Basti pensare alle potenzialità delle app, ad esempio, canali proprietari che immergono l’utente nell’universo del team e che gli permettono, senza mai ‘uscire’, di interagire al massimo grado, anche con azioni concrete come gli acquisti.

Voglio mettere un accento soprattutto sull’uso dei dati, troppo spesso sottovalutato quando parliamo di marketing sportivo: i big data, se trasformati in insight utilizzabili, possono darci molto sia a livello di comunicazione che di business. Un piccolo esempio: basta un’analisi delle conversazioni online sulle maglie degli ultimi anni per avere feedback utili per realizzarne una migliore e capace, probabilmente, di vendere di più.

Emanuela: App, contest, utilizzo dei nuovi strumenti messi a disposizione dagli stessi social network, intelligenza artificiale, nuovi modelli di advertising… Sono agnostica rispetto alla tecnologia ma sicura che avrà un ruolo centrale e imprescindibile. La stessa Cucu Sports nasce come una piattaforma tecnologica per i Marketer e un’ app per gli agenti e gli atleti, che consente di disintermediare ricevendo brief e proposte di sponsorship direttamente, approvando e pubblicando in real-time il contenuto.

Non ci si inventa nulla, ma si fa leva su un asset tecnologico per potenziare quell’appeal che calciatori e atleti avranno sempre sui loro fan 4.0 e non. Un altro esempio perfetto è la social experience che l’Inter ha disegnato per il match del 17 aprile col Cagliari. Si tratta sempre di vedere una partita, ma la tecnologia, i social, i second screen, offriranno agli spettatori una nuova prospettiva in grado di creare fidelizzazione. E noi non vediamo l’ora di goderci lo spettacolo.

Ringraziamo Leonardo, Matteo ed Emanuela per il loro prezioso contributo. Continueremo a seguire le loro attività sui social network.

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