Siamo con Fabrizio Rossini, Vicedirettore della Lega Pallavolo di Serie A. Seguiamo le attività del Volley, e gli abbiamo chiesto, quindi, quest’intervista per parlarci del proprio lavoro e della sua visione sulle evoluzioni della Sport Industry, soprattutto in funzione delle nuove strategie di fan engagement e delle future prospettive legate a pubblicità, sponsorizzazioni e monetizzazione.
Salve Fabrizio, prima di tutto grazie per aver accettato di rilasciarci questa intervista. Nello scenario attuale, che evidenzia lo SportTech come nuova tendenza, nasce Sport Thinking, il Brand Magazine di IQUII Sport che ha l’obiettivo di rappresentare, attraverso una nuova vision, un punto di osservazione ed approfondimento sull’innovazione in ambito Sport Business, sul cambiamento in atto e sulle nuove dinamiche del settore. Lei è un professionista dell’informazione e della comunicazione, qual è stato il suo percorso personale?
“Sono un giornalista, ho scritto di cronaca, tecnologia e spettacoli prima di occuparmi a tempo pieno di sport. Il mondo si evolve e oggi uso più Excel e WordPress rispetto a Word. Avendo da sempre una passione per la tecnologia, ho cercato di leggere, studiare, migliorare le mie competenze anche in tema di tecniche di produzione televisiva. Alcune delle innovazioni del nostro sport sono nate così, da intuizioni dell’amministratore delegato della Lega, Massimo Righi, da trasformare in progetti: bozze, file e notti in bianco. È nato in questo modo, sulla mia scrivania, il prototipo del Video Check, l’instant replay che oggi è usato in tutto il mondo.”
Il suo attuale ruolo, all’interno della Lega Volley di Serie A, è quello di Responsabile dei Campionati e della Comunicazione. Come si sviluppa il suo lavoro, quali sono le principali attività che coordina, e come si evolve il modello di informazione di una realtà come la vostra, in rapporto al digitale, ai new media ed ai nuovi strumenti di comunicazione? Quali sono, a suo modo di vedere, le differenze rispetto al modello calcio?
“Il calcio non è un modello. Non lo è per nessuno degli ‘altri’ sport. Perché é troppo più grande. Perché non guarda mai più in basso. Faccio un esempio banale: il calcio è arrivato tardissimo all’uso della tecnologia per giudicare le fasi di gioco. Pochi addetti ai lavori illuminati si sono chiesti: visto che lo fanno da anni, andiamo a chiedere a quelli della pallavolo. Avremmo trasmesso le nostre esperienze. Invece leggevo su un quotidiano sportivo approfondimenti sulla applicazione VAR che noi, pur con una tecnologia completamente differente, abbiamo concettualmente superato tre anni fa. Su molti fronti la nostra Lega ha cominciato a sperimentare, sapendo che chi crea per primo ha un piccolo vantaggio. La comunicazione digitale ha accorciato ancora di più questi tempi: ciò che fai il venerdì è già vecchio il sabato. Tutti sanno. La domenica si aspettano una cosa nuova. Il mio lavoro? Un mix tra l’organizzazione dei Campionati e la Comunicazione nelle sue cento versioni, dalle produzioni per RAI Sport ai comunicati stampa. È stare al centro dell’attività dei nostri Club, dove lavorano Uffici Media giovani e motivati, e fare in modo che i nostri Campionati ed Eventi siano un coro ben coordinato, e non un gruppo di solisti. Li formiamo, cerchiamo di mantenere una linea comune, ma ogni giorno impariamo anche tanto l’uno dall’altro. Siamo un network molto efficiente, nonostante siamo sparsi dalle Alpi alla Sicilia.”
Lei è un giornalista e, precedentemente, ha lavorato per il mensile ‘Pallavolo Supervolley’ ed è stato Press Officer di vari eventi sportivi, comprese le Olimpiadi. Quali sono le differenti sfumature nell’approccio alla comunicazione sportiva tra queste realtà e quella nella quale è impegnato attualmente? Quanto è importante, per le aziende sportive, la visione che può portare un profilo con grandi competenze giornalistiche?
“La competenza giornalistica è sempre utile. Serve ad avere costantemente la giusta sintassi per ogni declinazione: specie se si è stati da entrambi i lati della Mixed Zone, sia a fare domande che a coordinare. I linguaggi cambiano a seconda dello sport e del contesto. Sono stato portavoce di una Presidenza sportiva che aveva 220 Paesi affiliati: nel lavoro che ho svolto a Lausanne per la FIVB, ogni virgola aveva un peso specifico, e la maggior parte del mio tempo, anziché agli albi d’oro o ai palmarès, era valutare l’impatto politico di una frase o una azione rispetto a un’altra. Una Olimpiade, tra l’altro delicata sotto molti aspetti come quella di Beijing, è un acceleratore di tutti questi aspetti. Lavorare a bordo campo invece è un’altra cosa. Ciò che ti insegna il giornalismo (senso del reale, analisi, controllo dei fatti, velocità di esecuzione) è fondamentale. All’epoca, da giovane pubblicista, credo di essere stato un buon titolista: serve tantissimo nella comunicazione fatta di hashtag e sintesi da un centinaio di caratteri.”
Il panorama sta cambiando, siamo testimoni di un cambiamento. CRM, membership loyalty. I dati sono al centro dell’interesse e delle strategie delle aziende per generare nuove possibilità di advertising, sponsoring e monetization. E, per arrivare ai dati, è necessario generare una continua esigenza di contatto coi supporter: il tempo è il campo sul quale si gioca la partita di un business in cui si punta a vincere l’attenzione del pubblico. Le aziende, quindi, in primis quelle sportive, si stanno trasformando in vere e proprie media company, per generare contenuti da diffondere sfruttando le nuove tecnologie. Cosa ne pensa? In che modo state lavorando, in tal senso? Quali sono gli strumenti su cui avete puntato per la lega volley di A?
“Molti sport stanno destinando ingenti risorse per coprire una parte che manca: i dati e le immagini, anche del passato. Noi della Lega Pallavolo siamo stati fortunati, raccogliere e coordinare numeri e video è una attività che facciamo da moltissimi anni. Abbiamo quindi una forma mentis piuttosto rodata. È molto più difficile trasformare il proprio spettacolo live e l’archivio digitale in intrattenimento. Noi lo facciamo con l’aiuto di partner nazionali ed internazionali, da decenni ci occupiamo personalmente, con nostri service, della produzione dei match. Cerchiamo di curare molto i dettagli non avendo budget milionari. Forse anche per questo, oltre ad avere in Italia tra i più forti pallavolisti e i Club migliori del mondo, siamo l’unico sport in chiaro due volte a settimana su RAI e esportiamo le stesse dirette in 60 Paesi nel mondo. Fortunatamente anche molti dei nostri Club sono bravissimi nella gestione dei contenuti. C’è poi li nostro piccolo segreto 1.0, lo strumento più antico e meno tecnologico: terminate le interviste a fine match, l’invasione pacifica di campo. Pochi sport lo possono fare. Quale altro sistema evoluto potrebbe sostituire il contatto reale tra il fan e la squadra?”
I social media giocano un ruolo sempre più importante e rappresentano degli asset strategici fondamentali, tra i quali rientrano sempre più le fanbase degli stessi atleti. Questi ultimi stanno diventando veri e propri sport influencer, media a propria volta, che integrano ed amplificano la portata di diffusione delle società e le opzioni di visibilità da monetizzare. Cosa ne pensa? Quali sono le vostre strategie di fan engagement? In che modo coinvolgete i giocatori?
“Sono i Club a fare la parte del leone e gli influencer sono gli stessi giocatori, alcuni dei quali hanno un uso molto attivo e positivo della parte social, qualcuno anche con consulenti del ramo. Una Lega non gestisce la ‘voce’ dei giocatori, ma filtra la quantità di dati, impressioni ed emozioni che arrivano dalle Società. Ci sono stati molti esempi positivi. Un Club tre anni fa ha comprato una telecamera a un giocatore e ha detto ‘Ogni settimana ce la riporti’. Montavano puntate su YouTube con la sua vita vissuta dietro le quinte, quello che il fan vuole vedere: la preparazione dell’allenamento a casa, la vita ‘normale’, la notte in bianco dopo la sconfitta. La Lega mantiene il proprio ruolo di controllo. E devo dire, con grande onestà e molto rammarico, che i social media stanno rivelando anche la parte più oscura dell’animo umano e altre organizzazioni come la nostra, invece di godersi i numeri e l’ingaggio, perdono ore di tempo a stemperare e amministrare le derive. I social sono uno strumento meraviglioso, ma un tifoso non ha la deontologia di un giornalista. Potersi rivolgere direttamente ad atleti e Club (o viceversa) crea situazioni delicate, che bisogna saper gestire.”
Brand Journalism e Brand Entertainment, ma anche nuove e più immersive Brand Experience, grazie a Internet Of Things, Virtual Reality, Mixed Reality, sensoristica e intelligenza artificiale. Con un grande lavoro da fare in funzione della nuova concezione di Arena Digitale. A che punto siamo, a suo modo di vedere, e in che direzione si sta andando?
“Negli ultimi anni abbiamo usato i nostri eventi, e in particolare la Final Four della Del Monte Coppa Italia, per sperimentare. Per mettere il fan al centro dell’azione servono tempi medio-lunghi: un singolo match è spesso troppo breve per realizzare sessioni di intrattenimento. Invece 4 squadre nello stesso palasport per due giorni lo consentono. Dal primo QR code ai sensori e social experience, dal mapping alla realtà virtuale. Abbiamo provato di tutto, fin da quando abbiamo messo su maxischermo durante le partite in tempo praticamente reale i flussi Instagram delle persone che sedevano in tribuna al palasport. Erano tutti stupiti. E non ci siamo ancora fermati. Abbiamo avuto fior di consulenti, alcuni sono nostri collaboratori da anni: non ci siamo fatti mancare nulla in campo tecnologico. Posso anche dire ciò che manca oggi: ci sono molti professionisti in grado di suggerire o fornire strumenti a bordo campo che creino numeri e gradimento, ma mancano consulenti specifici che sappiano trasformare questi dati in valore reale. Oggi la domanda che fanno tutti, contattando il mondo sportivo, è ‘qual è il tuo budget?’ anziché ‘ecco cosa posso garantirvi’.”
Dall’unione delle dinamiche di marketing 4.0 e industry 4.0 nasce il nuovo concetto di sport 4.0. Il fan 4.0 al centro della strategia, con la tecnologia ad abilitare nuovi comportamenti e nuove possibilità di business. Per arrivare alla pubblicità individuale, come detto, attraverso i dati. Da monetizzare, poi, in modo diretto, ma anche indiretto, attraverso la cessione agli sponsor. Condivide, in conclusione, questa ‘vision’?
“Certo. Tutto il mondo dello sport va in quella direzione. Tuttavia ci sono due temi da non trascurare. La prima considerazione è che i numeri di certe nicchie sono piccoli. Sotto una certa soglia, anche a fronte di profilazioni molto accurate, non sembrano esserci investimenti disponibili. Infine non va mai dimenticato, e non vorrei sembrare caustico, che siamo ancora in una fase di forte transizione. Siamo nell’era digitale ma ci sono sponsor che chiedono ancora i dati Auditel, ed il resto per loro è accessorio. Quindi capita di investire per i fan e lo show sportivo, ma senza effettivi ritorni.”
Ringraziamo Fabrizio Rossini per il suo prezioso contributo. Continueremo a seguirlo sui social network e sui canali ufficiali della Lega Pallavolo di Serie A.
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