Federico Quarato: “La Sport Digital Transformation passa per una raccolta dati più capillare e un loro utilizzo più efficiente”

Siamo con Federico Quarato, CEO di Dynamitick, l’azienda che offre soluzioni di Dynamic Pricing a servizio della Sport Digital Transformation, grazie a raffinati modelli matematici in grado di descrivere il comportamento degli utenti modellando la curva di domanda, fornendo ai club uno strumento per massimizzare i ricavi provenienti dal matchday. Gli abbiamo chiesto quest’intervista, quindi, per parlarci più a fondo del suo lavoro per capire come è nata e come funziona la realtà Dynamitick, ascoltando la sua opinione sui temi che trattiamo quotidianamente su Sport Thinking, tra moderne tecnologie, nuove strategie di comunicazione delle società e sviluppi futuri della Sport Industry.

 

Ciao Federico, è un piacere per noi intervistarti. Nello scenario attuale, che evidenzia lo SportTech come nuova tendenza, nasce Sport Thinking, il Brand Magazine di IQUII Sport che ha l’obiettivo di rappresentare, attraverso una nuova vision, un punto di osservazione ed approfondimento sull’innovazione in ambito Sport Business, sul cambiamento in atto e sulle nuove dinamiche del settore. Tu sei un giornalista professionista ed esperto di comunicazione aziendale, qual è stato il tuo percorso personale?

“Dopo il liceo scientifico ho studiato Linguaggi dei Media all’Università Cattolica perché volevo diventare un giornalista sportivo. Durante l’università ho iniziato le prime collaborazioni con piccole radio e testate locali. Poi uno stage a RTL 102.5, il praticantato tra le redazioni televisive del gruppo Class Editori e una breve esperienza a Sky Sport 24 mi hanno portato all’esame di Stato e all’agognato tesserino ma mi hanno anche dato la consapevolezza che quella carriera non mi stava facendo battere il cuore come immaginavo. Così ho scelto una laurea specialistica in Comunicazione di Impresa e ho colto l’opportunità di lavorare con un’agenzia di comunicazione, Ecomunicare, che mi ha permesso di lavorare al fianco di grandi realtà finanziare e assicurative e di acquisire un nuovo bagaglio di competenze. Nel frattempo, con uno dei miei più cari amici, Marco Alò, oggi mio socio, abbiamo iniziato a studiare il dynamic pricing e grazie all’apporto decisivo di altri due giovani professionisti, Milo Corcione e Massimo Dell’Erba, Dynamitick nel 2016 è diventata realtà.”

Sei il CEO di Dynamitick. Come si sviluppa il tuo lavoro, e quali sono le principali attività che coordini? Come è nata l’idea del dynamic pricing? Quali sono stati gli step con cui è stata sviluppata e qual è il vostro modello di business?

“Era il Settembre del 2013, io e Marco eravamo allo stadio per Milan-Napoli: pensavamo fosse una sfida da tutto esaurito, ma ci sbagliavamo. Sugli spalti rimasero oltre 25.000 seggiolini vuoti. Pensare a quello stadio da big match vuoto quasi per un terzo ci ha fatto riflettere. Quali fattori avevano spinto le compagnie aeree a implementare strategie di revenue management già alla fine degli anni ’70, ponendo fine al problema dei biglietti invenduti? Avevamo 25 anni e non avevamo mai pensato di fare impresa. Ma da quel giorno Marco iniziò a studiare nuovi modelli matematici per la discriminazione del prezzo nel ticketing con Massimo, un ingegnere informatico che aveva studiato intelligenza artificiale a Tokyo e Milo, che aveva scritto una brillante tesi di laurea sul dynamic pricing ed era stato consulente per Alitalia. Nel frattempo, io cercavo di validare l’idea bussando alle porte di club, leghe, aziende del settore e società di consulenza raccontando quello che stavamo sviluppando. Nel gennaio del 2016 ci siamo buttati, lasciando i nostri posti di lavoro per fare di Dynamitick una realtà. Oggi cerco di coordinare un team di 7 persone che vuole cambiare il concetto di pricing nel mondo del ticketing, sportivo e non. Sul biglietto da visita c’è scritto CEO, per uniformarci alla nomenclatura dell’ecosistema start-up, ma è un titolo che mi fa sorridere. Con una trentina di clienti e un fatturato ancora inferiore al milione di euro, mi considero un project manager. Inoltre, la leadership della start-up è condivisa con il mio socio Marco, con il quale da tre anni portiamo avanti un lavoro di gestione e sviluppo a quattro mani. Il business model è variegato per permetterci di lavorare con clienti profondamente diversi tra loro. C’è chi paga un canone annuo, chi sceglie una percentuale sui biglietti venduti e chi ci riconosce una percentuale sui risultati ottenuti grazie ai nostri algoritmi: la formula che preferisco.”

Il panorama sta cambiando, siamo testimoni di un cambiamento. CRM, membership loyalty. I dati sono al centro dell’interesse e delle strategie delle aziende per generare nuove possibilità di advertising, sponsorship e monetization. E, per arrivare ai dati, è necessario generare una continua esigenza di contatto coi supporter: il tempo è il campo sul quale si gioca la partita di un business in cui si punta a vincere l’attenzione del pubblico. Le aziende, quindi, in primis quelle sportive, si stanno trasformando in vere e proprie media company, organizzandosi come evolute redazioni per generare contenuti da diffondere sfruttando le nuove tecnologie. Cosa ne pensi? In che modo state lavorando, in tal senso? Quali sono gli strumenti su cui avete puntato per la comunicazione di Dynamitick?

“Difendo il concetto di media company da diversi anni ed è un modello nel quale credo molto. Penso che le aziende, soprattutto quelle sportive, debbano necessariamente diventare editrici e narratrici di sé stesse. Perché lasciare che siano altri, in tempi e modi faticosamente gestibili, a raccontare al pubblico chi siamo, cosa facciamo e come lavoriamo? Per anni le aziende hanno corso dietro ai media tradizionali affidando le proprie notizie ai comunicati stampa, la propria immagine alle campagne pubblicitarie o al volto dei propri manager: uno scenario limitante. Costruirsi un’identità editoriale è il modo più efficace per svelare cosa c’è davvero dietro ad un marchio: idee, persone e valori. Attraverso dei contenuti editoriali è possibile dare forma al tono di voce scelto per la propria azienda e dare forza alla credibilità dei propri messaggi. Inoltre, la moltiplicazione delle possibilità di interazione con il pubblico permette ad ogni azienda di scegliere la scatola e il canale giusto per impacchettare e distribuire ogni suo messaggio. Anche Dynamitick, nel suo piccolo, opera così. Affidiamo la produzione di contenuti al nostro blog aziendale e la loro diffusione alla mia pagina personale di Linkedin. Il 21 settembre è uscito “Dynamic Pricing, logiche e strumenti per impostare una struttura variabile del prezzo” edito da FrancoAngeli: un testo di cui siamo autori che sarà tra quelli fondativi di questa materia, ancora poco esplorata in Italia. Si tratta di un prodotto coerente al nostro tono di voce aziendale, un lavoro che vuole testimoniare il know-how che alimenta il lavoro della nostra start-up, in un momento in cui troppa gente si riempie la bocca con concetti come Big Data e Machine Learning, senza saperne niente.”

Modelli matematici, Data mining, Machine Learning. Come funziona Dynamitick? Quanto può incidere, il vostro prodotto, nel percorso di sport digital transformation di un club? E quanto, soprattutto, nella rivalutazione di una fonte di revenue, quella del ticketing, che sembra essere sempre meno importante nello sport business model?  

“In effetti nella tecnologia Dynamitick c’è tutto ciò che hai nominato. Si tratta di una soluzione basata su algoritmi, inediti e proprietari, che combinano raffinati modelli matematici utili a interpretare i comportamenti dei consumatori e a descrivere le curva di domanda, tecniche di data mining che ci permettono di ricavare informazioni dai dati storici e di machine learning per dedurre e correlare le variabili che influenzano la domanda: è un software che diventa sempre più performante con il passare del tempo e con l’acquisizione di nuove informazioni. Analizzare così in profondità i dati di vendita dei nostri clienti permette loro di accedere ad una fotografia completa del comportamento di acquisto dei propri consumatori. La sport digital transformation passa per una raccolta dati più capillare e per un loro utilizzo più efficiente: la nostra soluzione va proprio in questa direzione. Il nostro obiettivo è aiutare i club a fare tesoro del comportamento di acquisto e della propensione al consumo per aumentare i ricavi da match-day: una voce del bilancio sulla quale hanno investito solo poche realtà in Italia. Una proposizione commerciale che comprenda biglietto a prezzo dinamico e bundle di offerta con servizi collaterali quali parcheggio, upgrade, fast lane, merchandising, food&beverage ed esperienze legate al club può di certo contribuire a farlo. Qualche società sta facendo qualcosa di simile, ma sulle grandi piazze solo l’intelligenza artificiale può essere in grado di clusterizzare continuamente la fanbase secondo criteri sempre diversi e costruire offerte ipersegmentate e dinamiche nel tempo. I nostri clienti, tra il mondo dell’intrattenimento, il travel e l’e-commerce fanno registrare in media incrementi in termini di fatturato del 15%. Nel mondo del calcio i margini di miglioramento sono potenzialmente ancor più elevati.”

Brand Journalism e Brand Entertainment, ma anche nuove e più immersive Brand Experience, grazie a Internet Of Things, Virtual Reality, Mixed Reality, sensoristica e intelligenza artificiale. Con un grande lavoro da fare in funzione della nuova concezione di Arena Digitale. A che punto siamo, a tuo modo di vedere, in termini di innovazione e sviluppo tecnologico nell’ecosistema dello sport management?

“Da diversi anni sento parlare del concetto di smart arena e vedo render di stadi avveniristici in cui il tifoso è al centro dell’esperienza supportato dagli strumenti che hai elencato, la realtà però poi ci mette di fronte ai fatiscenti stadi italiani. Chi si occupa di trasmettere lo sport in televisione fa di tutto per far sentire il telespettatore coinvolto come se stesse assistendo dal vivo ad un evento. Ricordo l’emozione, durante la mia breve esperienza a Sky Sport, nel poter vedere la finale di Wimbledon maschile 2012 in 3D: regalava la sensazione di essere seduto al Centre Court. Al contrario, chi progetta gli stadi del futuro sembra orientato a portare la digitalizzazione al centro dell’esperienza stadio del tifoso. Ecco, seppur entrambi i processi mi affascinino, preferirei che reale e virtuale rimanessero due dimensioni distinte, almeno nello sport. Si è arrivati così al paradosso di preferire la tv allo stadio: d’altronde, come dar torto a chi sceglie, con 30 euro, un mese di partite della propria squadra del cuore in tv (con le telecamere in spogliatoio, i microfoni in panchina, l’intervista e i commenti di metà gara ecc.) piuttosto che il biglietto per una singola partita in uno stadio poco accogliente. Prima di parlare di arena digitale credo abbia senso continuare sulla strada del rinnovamento degli impianti sportivi e iniziare a puntare sul concetto di match-day per trasformare le partite in eventi capaci di catalizzare attenzione e segmenti di pubblico diversi. Credo molto invece nelle Brand Experience e in particolar modo nella VR per promuovere il nostro calcio fuori dallo stadio e fuori dai confini del nostro Paese.”

Dall’unione delle dinamiche di marketing 4.0 e industry 4.0 nasce il nuovo concetto di sport 4.0. Il cliente/fan al centro della strategia, con la tecnologia ad abilitare nuovi comportamenti e nuove possibilità di business. Per arrivare alla pubblicità individuale, come detto, attraverso i dati. Da monetizzare, poi, in modo diretto, ma anche indiretto, attraverso la cessione agli sponsor. Condividi questa ‘vision’?

“Certamente. Le nuove tecnologie e la possibilità di collezionare dati sempre più in profondità sulle abitudini dei singoli tifosi permettono di offrire ad ogni utente ciò che realmente desidera. L’altra faccia della medaglia è quella di poter offrire agli investitori pubblicitari un bacino di utenti ingaggiato e non passivo. Il tema della monetizzazione del dato attraverso la cessione agli sponsor è un tema che considero delicato. Prima di arrivare a quello stream di revenues, siamo sicuri che i club abbiano già monetizzato tutto il resto? Spesso sui giornali si legge che il fatturato dei nostri club sia inferiore a quello dei club di Premier League. Credo che la chiave per inseguire quei risultati sia innanzitutto metodologica: smettere di approcciare il tifoso in quanto tifoso ma iniziare a rispettarlo come Cliente. Lo scriva con la C maiuscola. Perché il tifoso è l’unico, tra i clienti, che ha scelto un brand da bambino e non lo cambierà mai con un altro, fino alla fine della sua vita. Questo è un vantaggio inestimabile ma allo stesso tempo è una sfida difficile perché la base clienti di questi brand è molto variegata e quindi ha bisogno di operazioni di marketing molto diverse tra loro per essere efficaci su diversi cluster. L’intelligenza artificiale, mi faccia tirare l’acqua al mio mulino, permette di comprendere meglio abitudini, comportamenti e preferenze di ogni singolo cliente: un know-how che può portare ad accontentare tutti i diversi segmenti della propria base clienti e a costruire un rapporto più solido con i propri tifosi.”

Ringraziamo Federico Quarato per il suo prezioso contributo. Continueremo a seguirlo sui social network e a monitorare le attività di Dynamitick.

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